Mosca blocca Telegram. E Durov diventa l’anti Zuckerberg

Mosca blocca Telegram. E Durov diventa l’anti Zuckerberg
Il magnate delle nuove tecnologie, Pavel Durov
16 aprile 2018

Durov contro tutti. Contro il suo Paese, la Russia, che gli chiede le chiavi per entrare nelle chat personali di suoi utenti Telegram. Ma anche contro il main stream dei re dei social network. E proprio nell’anno del grande scandalo di Facebook, con Mark Zuckerberg che si è dovuto scusare pubblicamente per la fuga dei dati attraverso Cambridge Analytica, dall’altra parte dell’oceano c’è chi lotta per la privacy. Ed è scontro aperto tra Mosca e il magnate delle nuove tecnologie Pavel Durov, cresciuto prima a Torino e poi sulla prospettiva Nevskij di San Pietroburgo, artefice di vere e proprie stregonerie digitali come appunto Telegram, la chat capace di autodistruggere i messaggi ed eludere i controlli dei servizi segreti.

Più performante di WhatsApp, più sicura di Viber, Telegram è diventato in pochi anni uno dei mezzi di comunicazione più agevole. Una vignetta sul giornale di bordo di una nota compagnia aerea russa ci scherzava su, solo pochi mesi orsono, sancendo il fatto che mentre le altre chat sono già sorpassate e out, il servizio di messaggistica di Durov è all’avanguardia e alla moda. Amato nel mondo, ma soprattutto in Russia, dove appunto è nato. E tuttavia, dopo gli attentati nella capitale degli zar, oltre un anno fa, Mosca ha dichiarato guerra alla chat, utilizzata anche dai terroristi.

Telegram in Russia è usato da tutti. Anche al Cremlino.

Nonché dagli oppositori di Vladimir Putin, che attraverso i gruppi chiusi comunicano ora e luogo, per andare a manifestare. In realtà Telegram in Russia è usato da tutti. Ma proprio tutti. Anche al Cremlino. Ha un canale tutto suo persino Margarita Simonyan, direttrice della tv RT. Ma per il regolatore è solo una risorsa sovversiva, che non vuole obbedire alla legge e consegnare le chiavi d’accesso. Per questo, in poche ore oggi è stato bloccato. Durov, enfant terrible del Web in cirillico, bello come un attore hollywoodiano, ma anche ricco come un qualsiasi magnate cinico e geniale, non si arrende. Dal suo canale Telegram rilancia: “La privacy non è in vendita, e i diritti umani non devono essere compromessi dalla paura o dall’avidità”.

Una risposta per Mosca, che sembra anche una critica a Zuckerberg. Per poi aggiungere: “Il potere dei governi locali sulle compagnie IT è basato sui soldi. In qualsiasi momento, un governo può far crollare i titoli di quelle compagnie, minacciando di bloccare i flussi di entrate dai propri mercati e quindi costringere queste società a fare cose strane (ricordate? Come l’anno scorso Apple ha spostato i server iCloud in Cina). A Telegram, possiamo permetterci il lusso di non preoccuparci dei flussi di entrate o delle vendite di annunci”.

La differenza tra Durov e Zuckerberg? Il rispetto della privacy

Il seguito è noia, o meglio soluzioni da nerd per schivare lo stop (non troppo virtuale) decretato da Mosca. “Telegram utilizzerà metodi built-in di elusione di blocchi che non richiedono alcun intervento da parte degli utenti, ma il 100% della disponibilità del servizio, senza VPN, non è garantito”, ha scritto Durov sul social network VKontakte, pure quello da lui creato. “Importante: non rimuovere o reinstallare Telegram in caso di problemi di comunicazione. Provate piuttosto i tempestivi aggiornamenti in AppStore o Google Play”, ha scritto. Qualcuno rimprovera a Durov di non aver inventato niente.

Qualcuno altro lo paragona a Zuckerberg, ma la differenza tra lui e il creatore di Facebook esiste ed è bella grossa: il rispetto della privacy. La coincidenza invece più interessante di tutta la vicenda è che Durov è nato nel 1984. Proprio come quel famoso romanzo “1984” di George Orwell, dove la Terra è divisa in tre grandi potenze totalitarie, Oceania, Eurasia ed Estasia, impegnate in una perenne guerra tra loro, il cui scopo principale è mantenere il controllo totale sulla società. askanews

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