Naufragio a sud di Lampedusa: finora sarebbero oltre 200 i morti (I VIDEO)

Naufragio a sud di Lampedusa: finora sarebbero oltre 200 i morti (I VIDEO)
11 febbraio 2015

Almeno 203 migranti di origine subsahariana sarebbero morti nel Canale di Sicilia mentre navigavano a bordo di tre gommoni diretti verso l’Europa. A riferirlo sono stati i 9 migranti recuperati nelle scorse ore da un mercantile di fronte alle coste libiche. La cifra riferita dai migranti è stata confermata dall’Unhcr.I sopravvissuti, giunti stamani sulla maggiore delle Pelagie, hanno detto di aver fatto parte di un gruppo molto più grande, imbarcato su tre carrette del mare. I soccorritori però hanno trovato soltanto due imbarcazione, segno che la terza potrebbe non avere retto al mare in tempesta. Due giorni fa, durante le operazioni di soccorso dei 105 migranti, 29 dei quali morti successivamente per ipotermia, si era diffuso il timore per le sorti di un’altra imbarcazione segnalata da alcuni familiari di migranti alle autorità spagnole. In quel caso il Centro nazionale di soccorso della Guardia costiera di Roma aveva dirottato la nave Bourbon Argos sul luogo segnalato, per ricercare l’altro eventuale barcone.

LA SCIENTIFICA Intanto, hanno iniziato a lavorare nel vecchio aeroporto di Lampedusa appena arrivati sull’isola, nel primo pomeriggio del 10 febbraio, ed hanno proseguito ad oltranza per tutta la notte per cercare di dare un’identità alle 29 giovanissime vittime dell’ultima tragedia consumatasi due giorni fa nel Canale di Sicilia. Sono gli uomini del Dvi (Disaster victim’s identification), il team di Polizia scientifica super specializzato nei rilievi destinati a dare un nome agli sfortunati migranti che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Si tratta dello stesso team che tra le altre cose, un anno e mezzo fa, effettuò i rilievi scientifici sulle vittime del naufragio del 3 ottobre, quando morirono a poche centinaia di metri da Lampedusa 366 persone; e sulle 34 vittime del barcone rovesciatosi l’11 ottobre a 70 miglia a Sud dall’arcipelago agrigentino. Tragedie e morti la cui attualità, per gli agenti del Dvi, è sempre quotidiana. Anche a distanza di parecchi mesi dal fatto, quando l’evento non trova più spazio sui media. Ancora oggi, ad esempio, nei laboratori della Scientifica vengono analizzati reperti estratti dalle centinaia di salme stipate nell’hangar di Lampedusa nei giorni successivi al 3 ottobre 2013. Ogni esame, infatti, comporta tempi anche molto lunghi, e sebbene venga ripetuto tante volte, viene svolto con eccezionale scrupolosità come fosse sempre la prima volta.

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DVI è nato esattamente dieci anni fa, e a volerlo fu il capo della Polizia sulla scorta dalla necessità di identificare le vittime di qualsiasi disastro (aereo, di terra o di mare). Il compito di questi poliziotti è fotografare i volti, censire oggetti personali, estrarre il Dna dalle salme, affinché a ciascuna di esse venga restituita la propria identità e la propria storia, e non un numero identificativo. Uomini e donne, gli agenti del Dvi, costretti a fare i conti da un lato con le fortissime emozioni del ritrovarsi a fotografare le inermi vittime di tragedie; e dall’altro col mantenere la lucidità e la freddezza imprescindibili dall’impegno scientifico. Un lavoro straordinario, dunque, che non di rado, quando si tratta soprattutto di disastri come quelli avvenuti nel Canale di Sicilia, affronta anche problemi dovuti a possibili implicazioni legati alle credenze religiose delle vittime, e dei loro familiari, con alcuni Credo che impongono ritualità potenzialmente influenti sulla gestione delle salme, a volte in contrasto col disbrigo delle attività della Scientifica.

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