Nespoli, da Insciallah alla Iss: torno su Stazione spaziale il 28. Astronauta, al centro libro Fallaci, racconta passione stellare

18 luglio 2017

Paolo Nespoli è entrato nella storia già tante volte. Ma evidentemente ci ha preso gusto. Un passato avventuroso, che inizia con la guerra civile in Libano nella Forza Multinazionale di Pace dal 1982 al 1984. Un alter ego ambizioso, ossia Angelo, il protagonista del romanzo Insciallah, scritto da Oriana Fallaci pensando a lui. E ancora 174 giorni, 9 ore e 40 minuti nello spazio, dove sta per tornare. Partirà insieme con i colleghi Sergey Ryazanskiy e Randy Bresnik il 28 luglio dalla base di Baikonour dove l`astronauta già si trova in isolamento pre lancio. Destinazione Stazione Spaziale Internazionale nel contesto di una missione scientifica. Per Nespoli è la terza missione sulla Iss: “quando partirò, sarò l’astronauta più anziano che ha cominciato a volare verso la Stazione spaziale internazionale”, afferma in una intervista telefonica con Askanews dalla “Città delle stelle” – il blindatissimo villaggio degli astronauti fuori Mosca – prima che Nespoli entrasse in isolamento pre lancio. “Ma torneremo”, dice. “Con l`Ambasciata d`Italia a Mosca per l`anno prossimo, vorremmo riuscire a fare una presentazione di quanto fatto lassù”. Nel colloquio Nespoli spiega il valore di questi viaggi stellari, ovvero passare dal “senso di appartenenza a una nazione, a un contesto dove siamo tutti in fondo esseri umani e abitiamo lo stesso pianeta”. Riflette su come è iniziata la sua passione per lo spazio e ammette che è stata la Fallaci a farlo “riflettere sul senso della vita” mettendolo con “le spalle al muro”. Per poi descrivere la Terra vista dalla Iss come “un’unica barca, o meglio nave, in viaggio attraverso l`universo”. Oltre a sottolineare la necessità di comprendere che “è bene essere tutti marinai, impegnati a remare verso un indirizzo comune. Altrimenti chissà cosa potrebbe succedere a questa nave”. E infine confida anche qualche ambizione, come quella naturale per qualsiasi astronauta: andare su Marte.

Iniziamo dal principio: come ci si prepara alla Iss?

“Gli astronauti sono le braccia e le mani degli scienziati, che si inventano questi esperimenti “fuori dal mondo”, e devono sapere fare un po` di tutto. Dal gruista all`idraulico. Io sono un ingegnere ma a volte mi viene richiesto di fare cose che riguardano la genetica o la medicina. Cose che non sono esattamente la mia specializzazione e quindi devo imparare e ci vuole tempo. Ci sono inoltre attività di mantenimento della stazione, ad esempio lavorare sui sistemi che ti garantiscono il mantenimento della vita, il sistema di regolazione della temperatura, le pompe o il funzionamento dell’elettricità a bordo. Uno deve avere la qualifica di elettricista spaziale, idraulico spaziale, movimentatore di carichi spaziali, gruista spaziale, essere abituato a fare le passeggiate spaziali, che sono tutt’altro che passeggiate. Oltre ovviamente ad essere la mano e l’occhio dello scienziato che ti fa fare questi esperimenti. Esperimenti peraltro che a me, persona normale, sembrano talora un po’ astrusi, ma per loro sono estremamente importanti. Ci vogliono di norma tre o quattro anni affinché un astronauta sia qualificato. Dopo di che aspetti che ti venga affidata una missione, e quando ti viene affidata una missione di lunga durata sulla stazione spaziale, ti ci vogliono altri tre anni prima di essere qualificato e poter volare. Anche perché bisogna imparare ad andare su un veicolo, in un viaggio di andata o di ritorno che in genere dura sei ore, ma è una cosa complessa. E come dire vado in vacanza alle Maldive, il viaggio dura un giorno, sì, ma devi imparare a guidare il 747 che ti porterà sulle isole del paradiso. E quindi ti ci vuole un anno di addestramento, ed è un po’ quello che succede a noi astronauti”.

In un mondo di disoccupati, lei non avrà problemi a trovare lavoro in futuro.

“Non lo dica. Tra l’altro io non sono giovanissimo. Anzi quando partirò, sarò l’astronauta più anziano che ha cominciato a volare verso la Stazione spaziale internazionale. Anzi mi sa che quando tornerò, mi manderanno in pensione.

Non ci risulta. Invece com’è lavorare con i russi, con gli americani, con persone di altri Paesi in continua competizione fra loro?

“È interessante come da un certo punto di vista si percepiscano gli stereotipi standard: gli italiani un po’ caotici, un po` anarchici che pensano molto a divertirsi e a mangiare; gli americani estremamente concentrati su se stessi, incredibilmente concentrati sul lavoro per poi perdersi tutto il resto e soprattutto nelle procedure complesse; i russi, sì, un po’ gelosi di quello che sanno, ti dicono e non ti dicono, vogliono essere comunque essere trattati come una superpotenza, e poi alla fine in un modo nell’altro riescono a mettere quasi sempre in scacco gli americani, che credono a loro volta di essere i padroni e comandare. Tutti questi stereotipi ci sono e si vedono, ma è anche vero che la stazione spaziale internazionale è il programma internazionale più grosso in termini di costi, intensità, durata che coinvolge e vede lavorare insieme nazioni che non sono poi così amiche. Ricordo che i partner della stazione spaziale sono gli Stati Uniti, la Russia, 10 nazioni europee tra le quali l`Italia, il Giappone, e il Canada”.

Quasi impossibile mettere d’accordo tante teste.

“Sembra un paradosso: gestire un programma così, è complesso e costa tanto, ma quando si arriva a una decisione, questa è veramente solida. Intoccabile. Perché è difficile prendere un rappresentante da ognuna di queste nazioni, metterlo intorno a un tavolo, e fargli prendere una decisione. Ognuno ha le sue priorità, uno tira da una parte, uno tira dall`altra. Ma se una cosa è decisa, è decisa. Il progetto ha quasi vent`anni e continua a vedere nazioni, che magari non si parlano. Tra gli Stati Uniti e la Russia c’è il veto di comunicazione, a qualsiasi livello dal punto di vista governativo, eccetto che per la stazione spaziale internazionale. E questo la dice lunga su come forse in futuro dovremmo cambiare il nostro atteggiamento. Da nazionalisti, nel senso di appartenenza a una nazione, a un contesto dove siamo tutti in fondo esseri umani e abitiamo lo stesso pianeta. “Noi da fuori vediamo la Terra come un`entità unica, non come un insieme di piccole nazioni frammentate. Vediamo un’unica barca che è in viaggio attraverso l`universo. E forse è bene essere tutti marinai di questa barca, impegnati a remare verso un indirizzo comune. Altrimenti chissà cosa potrebbe succedere a questa nave. Quando poi si vorrebbero fare dei progetti importanti a lungo termine, costosi, poi ci si perde in piccole brighe nazionali. Per questo i programmi poi di solito, non durano più di due o tre anni. E poi vengono o cancellati, o cambiati dal nuovo governo. Occorre un sistema più solido, e la stazione spaziale da un certo punto di vista, ci fa vedere come questo sia possibile. Nazioni teoricamente nemiche, o che comunque non vanno molto d’accordo, possono realmente cooperare”.

Lei ha assolutamente ragione, però purtroppo l’ideologia che oggi vige tra potenze o superpotenze o minipotenze, è quella dei tifosi di calcio: io faccio parte di una squadra e per quella tifo. Forse servirebbe a molti andare dove sta andando lei e vedere la barca da lontano.

“Io l’ho chiamata barca, ma forse sarebbe meglio più il termine nave”.

Lei ha realizzato molti sogni in una sola vita: dal Libano agli studi a New York. Resta nello spazio periodi lunghissimi. Se uno le chiede, “di dove è?”, lei cosa risponde?

“Io sono nato a Milano. Non so in realtà perché mia mamma sia andata a Milano per darmi alla luce. Di fatto io sono brianzolo, la zona tra Monza e Seregno”.

A volte le persone si chiedono a cosa serva la stazione spaziale e in generale le missioni nello spazio. Come lo spiegherebbe in parole molto semplici?

“Qualcuno si potrebbe anche chiedere a cosa servono i filologi, i filosofi, persino i pianisti. Le attività nello spazio, e in particolare la stazione spaziale, assolvono a due compiti: uno più semplice, rustico, di base è quello tecnico scientifico. Nello spazio ci sono delle condizioni diverse da quelle sulla terra. E queste condizioni, ad esempio il fatto che uno non senta la gravità, permettono di fare cose che sulla terra sono impossibili. Sostanzialmente espandere la possibilità di fare ricerca. È un po’ come tirare via un elefante che appiattisce tutto. Ossia la gravità. Se uno va in orbita, ad esempio, inizia ad osservare come i liquidi si comportano in assenza di gravità: le interazioni molecolari sono come una formichina, ben più evidente se non hanno un elefante sopra. La stazione ci permette di fare delle esperienze scientifiche e tecnologiche importanti che poi migliorano la vita sulla terra”.

E il secondo compito?

“L’obiettivo vero, quello più alto, è legato alla nostra voglia, capacità, desiderio, direi quasi incapacità di astenerci dall`espandere le nostre conoscenze. Noi siamo obbligati ad andare avanti, come diceva il nostro amico Dante. Tecnologicamente siamo in grado di andare fuori da questo mondo e ci andiamo. A cosa serve veramente? In realtà non lo sappiamo ma noi abbiamo sempre fatto così. Come esseri umani abbiamo sempre sfidato quelli che ci dicono che è una cosa non si può fare. E guarda caso in questa nostra incapacità di accettare che una cosa non si possa fare, arriviamo a scoprire ad esempio che il fuoco, qualcosa di pericolosissimo, se lo usi bene ti aiuta a vivere, riscaldarti, mangiare. O l’elettricità: potrebbe essere un fulmine che ti arriva in testa e ti uccide. Ma se lo vai a capire, è uno spostamento di elettroni, che puoi usare, e oggi abbiamo i telefonini, il computer, l`elettricità. Il processo per arrivarci, è proprio il processo di conoscenza. Qualcuno che vuole capire di più serve, e noi astronauti forse incarniamo proprio questa sete di conoscenza. Se vuole 500 anni fa c’erano persone che partivano alla ricerca dell’India su delle barche – torniamo al concetto di barca – per capire se arrivati alla fine di questo mondo, sarebbero caduti di sotto, come dicevano le Scritture. Anche lì c’era chi diceva non si può, non è possibile, non è pensabile, eppure questi partivano lo stesso. Anche noi astronauti rischiamo la vita, ma devo dire molto meno di loro.
Gli esploratori che partivano alla scoperta dell’America, per il 50 o 70% non tornavano”.

Anche voi rischiate.

“Non compriamo il biglietto di andata e ritorno, ma devo dire che ho una buona sicurezza di tornare. Lo facciamo perché possiamo, vogliamo e devo dire dobbiamo perché siamo esseri umani. E fa parte del nostro essere. Così torneremo sulla Luna, arriveremo su Marte. Continueremo l’esplorazione del nostro sistema solare, e andremo anche oltre. Oggi è impossibile perché i viaggi sono lunghissimi e durerebbero molto più delle nostre vite normali”.

Andrebbe su Marte?

“Sì, chiedere a un astronauta se andrebbe su Marte, è come domandare a un bambino se vuole un gelato in una giornata caldissima. Anche se avesse mal di stomaco, risponderebbe: assolutamente sì”.

Come ci si sente dopo un viaggio spaziale? Nelle fotografie a terra avete certe facce…

“Neanche tanto. Sì certo lo scombussolamento fisico, fisiologico, e anche un po’ psicologico devo dire, è piuttosto profondo. Ma ci può stare. Gli astronauti, nella maggior parte dei casi, recuperano anche abbastanza velocemente. Qualche settimana e torni più o meno normale. Per un recupero completo forse ci vogliono sei mesi. Ma insomma, ci vuole di più se ti spacchi una gamba e devo dire che le conseguenze sono anche secondarie, rispetto al senso di soddisfazione. Nell`ambito dell’esperienza di una vita, il ritorno ti offre una carica enorme in termini di soddisfazione. Senti che hai fatto una cosa importante per te ma anche per tutti gli altri. Sei riuscito a fare una cosa impossibile”.

Una domanda personale: come era Oriana Fallaci?

“Oriana Fallaci era un gioiello con tante facce. Lo giri e lo rigiri e trovi sempre facce completamente diverse. Era una donna, era un`artista, una scrittrice, una giornalista. Era tutta una serie di cose. Ho avuto la fortuna di conoscerla e poi siamo diventati amici, e quindi forse l`ho conosciuta in un modo diverso, da come la vede la gente normale. Era una donna difficile da un certo punto di vista, perché sfidava sempre, sfidava tutti. Era una che non ti lasciava stare. E devo dire che in questo non lasciare stare generale, non ha lasciato stare neppure me. Alla fine è stata lei che, a un certo punto, mi ha messo con le spalle contro il muro, quando ero poco più di un ragazzino, chiedendomi di riflettere sul senso della mia vita. Su quello che stavo per fare e quali fossero le mie passioni e come realizzarle. Perché dal punto di vista di una donna forte, così si deve fare. Ce ne vorrebbero di più, nella vita, di donne così.

Il risultato è che tra qualche giorno va in un posto meraviglioso. Magari un po` angusto…

“Ma no, prima di tutto lassù c`è il piacere di sentirsi utile, fare cose strane, metterle in atto, il piacere di vedere la terra da lassù, e vederla con occhi diversi. E sperimentare l`assenza di forza di gravità. Uno torna bambino: è incredibile. Vorrei che tutti lo provassero e in futuro lo si potrà fare. Il turismo spaziale diventerà alla portata di tutti e tutti dovrebbero uscire e vedere la terra con occhi diversi”.

 

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