A Bruxelles vertice a 27, primo atto per la Brexit. L’Italia punta sull’Ema

A Bruxelles vertice a 27, primo atto per la Brexit. L’Italia punta sull’Ema
29 aprile 2017

Il Consiglio europeo a 27 che avrà luogo oggi a Bruxelles sarà probabilmente uno dei più rapidi e brevi della storia dell’Ue: si limiterà, in pratica, a un pranzo di lavoro a partire dalle 13.15 in cui saranno ufficialmente adottate, all’unanimità, le linee guida negoziali sulla Brexit, primo atto per l’avvio del negoziato di divorzio con il Regno Unito. Per l’Italia parteciperà il premier Paolo Gentiloni, dopo il suo intervento in mattinata al pre-vertice del Pse. Il pranzo dei leader sarà preceduto dal discorso introduttivo del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che poi lascerà il vertice. La conferenza stampa finale del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker è prevista attorno alle 16. Tutte le fonti europee e nazionali sono concordi nell’affermare che sulle linee guida c’è una pressoché totale condivisione da parte dei Ventisette, al di là di quanto si poteva pensare anche nelle previsioni più ottimistiche fino a qualche mese fa, grazie alla buona impostazione data a questa prima fase, con una bella dimostrazione di unità, da parte della Commissione e dal Consiglio, probabilmente anche per merito del capo negoziatore per l’Ue, Michel Barnier, che è invitato a partecipare al vertice. Il testo è stato chiuso in modo relativamente facile e rapido, e questa notevole unità dei Ventisette è vista come una condizione chiave per il successo del negoziato.

L’impostazione delle linee guida prevede che i negoziati, per ora, siano limitati alla sola questione del “divorzio” di Londra, e a tre solo punti: 1) la soluzione delle questioni finanziarie create dall’uscita del Regno Unito (“financial settlement”), ovvero i costi della Brexit (si parla di 60 miliardi di euro, ma non ci sono conferme su questa cifra), che dovrà pagare in buona parte Londra, soprattutto per onorare i contratti pluriennali che firmato come Stato membro dell’Ue; 2) la rimozione dell’incertezza per quanto riguarda le persone e le imprese, e in particolare i diritti dei 3 milioni di cittadini Ue residenti nel Regno Unito dei 2 milioni di cittadini britannici residenti nell’Ue; 3) la questione particolare dell’Irlanda, che si troverà ad avere una frontiera esterna con l’Irlanda del Nord, che è parte del Regno Unito, laddove gli accordi di pace “del Venerdì Santo” fra britannici e irlandesi, dopo decenni di guerra civile e attentati terroristici, prevedono l’assenza di controlli a quella frontiera. Il documento che sarà approvato oggi conterrà un allegato specifico proprio sul rompicapo irlandese, per risolvere il quale, ha detto Tusk, bisognerà dimostrare “flessibilità e immaginazione”. Nel documento ci sarà un riferimento all’accordo del Venerdì Santo. Il negoziato su queste tre questioni – che lo stesso Tusk ha sintetizzato nella sua lettera d’invito ai leader del Ventisette nel trinomio “people, money, Ireland” – dovrà avere conseguito “progressi sufficienti”, a giudizio dei leader, perché si possa passare successivamente (si spera già in autunno) alle nuove trattative per la preparazione dell’accordo commerciale futuro fra il Regno Unito e l’Ue, dopo il divorzio di Londra.

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Il secondo atto di questo percorso verso l’accordo di recesso dei britannici sarà l’adozione da parte del Consiglio Affari generali (ovvero i ministri degli Affari europei) nel formato a 27, il 22 maggio prossimo, delle direttive negoziali specifiche, che verranno proposte dalla Commissione europea il 3 maggio. I tempi saranno comunque molto serrati: nella seconda metà di giugno, dopo le elezioni anticipate nel Regno Unito, fissate per l’8, inizierà il negoziato diretto con Londra; probabilmente – sperano nell’Ue – con la premier Theresa May più capace di tenere sotto controllo i “brexiter” più radicali ed estremisti, se avrà vinto con ampio margine le elezioni e godrà di una investitura popolare diretta. I negoziati dovranno finire entro l’autunno (ottobre) 2018, perché ci sia il tempo per le ratifiche nazionali e per quella del Parlamento europeo entro marzo 2019, scadenza dei due anni fissati dal Trattato Ue per concludere l’accordo di recesso (a meno che i Ventisette, all’unanimità, non decidano di prorogare questo termine). C’è comunque, un’altra scadenza a distanza ridosso di quella di marzo: le elezioni, a maggio o giugno 2019, del nuovo Parlamento europeo, senza gli eurodeputati del Regno Unito. Tornando a oggi, va sottolineato che nel capitolo sui costi della Brexit c’è anche la parte relativa al negoziato per il trasferimento in altri Stati membri delle due agenzie indipendenti dell’Ue che oggi hanno sede a Londra: l’Eba (Autorità bancaria europea) e l’Ema (l’Agenzia europea del farmaco).

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L’Italia è molto interessata a questo particolare aspetto del negoziato perché ha candidato, con qualche speranza di successo, Milano per l’Ema, che delle due agenzie è quella che ha di gran lunga più personale fisso, risorse e potenziale per l’indotto. Proprio per questo, tuttavia, la competizione fra gli Stati membri per ospitare la nuova sede è feroce, con ben venti candidati. I più accreditati, oltre a Milano, sono Stoccolma e Amsterdam, ma ci sono anche, ad esempio, Barcellona, Vienna, Dublino e la stessa Bruxelles. Per l’Eba invece i candidati sono “solo” una decina, fra cui Francoforte e Parigi. Oggi, comunque, non inizierà ancora il negoziato, anche se in certi incontri bilaterali potrebbero i leader interessati potrebbero cercare di porre le premesse e stringere alleanze. Il vertice dei Ventisette per ora si limiterà a stabilire una serie di criteri tecnici per la selezione delle nuove sedi, che poi verranno applicati in modo che si abbiano le due decisioni entro l’anno, probabilmente in autunno, con accordo un politico al Consiglio europeo a 27, in cui Londra non avrà alcuna voce in capitolo (ma sarà coinvolta, invece, nel pagamento dei costi di trasferimento).

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