Panmunjom, il villaggio più militarizzato al mondo. L’auspicio che diventi come “Checkpoint Charlie”

Panmunjom, il villaggio più militarizzato al mondo. L’auspicio che diventi come “Checkpoint Charlie”
Panmunjom, il "villaggio dell'armistizio"
9 gennaio 2018

Forse un giorno diventerà un monumento della Guerra fredda, un’attrazione un po’ posticcia per i turisti, come il “Checkpoint Charlie” di Berlino. Ma, per ora, resta uno dei luoghi più controllati e spaventosi del mondo. Panmunjom, il “villaggio dell’armistizio”, è tornato oggi a campeggiare sulle prime pagine mondiali perché, dopo due anni di silenzio, delegazioni della Corea del Nord e della Corea del Sud vi hanno tenuto colloqui volti a consentire la partecipazione alle Olimpiadi invernali di PyeongChang degli atleti del Nord, oltre a distendere le relazioni tra Seoul e Pyongyang dopo mesi e mesi di tensioni dovute ai programmi nucleare e missilistico del Nord. Panmunjom è un villaggio, ma non vi abitano civili. Anzi, in realtà, tecnicamente anche il suo nome è ingannevole: andrebbe chiamato piuttosto Joint Security Area (JSA). Si tratta sostanzialmente del posto in cui fu apposta la firma all’armistizio che pose fine ai combattimenti della sanguinosissima guerra di Corea – 1950-53 – e che ancora oggi regola i rapporti tra le due metà della Penisola, ancora formalmente in guerra. E’ il luogo della memoria, per i tanti coreani del Nord e del Sud che si rincontrano ogni volta che Pyongyang e Seoul trovano un accordo per le riunioni tra le famiglie che si sono trovate divise alla fine della devastante guerra finita 65 anni fa. Commoventi riunioni familiari hanno avuto come scenario gli edifici verdi e grigi che fanno da sfondo al punto di transito dove soldati nordcoreani e sudcoreani si guardano in cagnesco e, talvolta, si sparano.

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E’ anche il luogo della morte. Infatti, Panmunjom, situato a circa 50 km a Nord-ovest di Seoul, il villaggio dell’armistizio è l’unico punto di contatto vero tra le due Coree lungo la Zona smilitarizzata che, a dispetto del nome, è una striscia ipermilitarizzata di terra larga 4 km che spacca a metà la Penisola, punteggiata di torri d’avvistamento militari e di zone minate. E più di una volta ci sono stati incidenti tra soldati, come quella volta nel 1976, quando soldati del Nord uccisero due militari Usa. E’ tuttavia pure il luogo di un’insanguinata speranza. Più di una persona ha tentato la fuga passando attraverso la Linea di demarcazione, per buttarsi nelle braccia dei soldati del Sud e americani. Nel 1976 lo fece un giornalista della Kcna, l’agenzia di stampa ufficiale di Pyongyang, scatenando una sparatoria tra i soldati. Nel 1984 lo fece uno studente russo, provocato uno scambio di colpi tra le due parti nel quale morirono quattro persone. Lui se la cavò. Ancora recentemente un soldato nordcoreano ha tentato la fuga ed è stato inseguito dai commilitoni, che gli hanno sparato colpendolo più volte. Le immagini sono state diffuse in tutto il mondo. Alla fine lui ce l’ha fatta: è stato soccorso dai soldati del Sud e portato in ospedale. Ed è infine un luogo di un turismo un po’ feticista, già oggi. Tanti i stranieri e sudcoreani vi si recano, guardano dal loro bel binocolo e fotografano con circospezione per non irritare gli arcigni militari nordcoreani. Turismo anche politico: tanti presidenti americani vi si sono recati. Donald Trump, l’arcinemico del leader nordcoreano Kim Jong Un, se n’è guardato bene nella sua recente visita a Seoul. Dopo aver definito la visita “un cliché”, alla fine ha messo la scusa del maltempo e ha evitato. Una puntata, invece, l’ha fatta Kim Hong Un nel 2012: le foto ufficiali lo mostrano mentre osserva il sud da un binocolo.

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