Sono passati 6 anni e mezzo e 4 governi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e ora Conte. Continua la “Via Crucis” dei due marò

Sono passati 6 anni e mezzo e 4 governi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e ora Conte. Continua la “Via Crucis” dei due marò
Vania Ardito, moglie del marò, Salvatore Girone
26 agosto 2018

“Non mi faccia questa domanda, non è una questione su cui posso esprimermi. Ho già un problema che ci vede coinvolti da oltre sei anni. Certo, anche questa storia dei migranti della Nave Diciotti è un problema che ci coinvolge, che coinvolge tutta l’Italia, ma non posso dirle altro…”. Vania Ardito, moglie del marò, Salvatore Girone, attende con ansia il 22 ottobre prossimo, quando comincerà all’Aja l’udienza davanti al Tribunale arbitrale che dovrà decidere su chi, tra Italia e India, abbia la giurisdizione per giudicare i due militari, Massimiliano Latorre e Girone, per l’appunto. Per loro, un calvario lungo oltre sei anni e di cui è difficile prevederne la fine. “Mi spiace dirvi che non ci sono novità – ci dice -. Attendiamo di essere convocati dal nuovo governo che s’è insediato da qualche mese per ricevere informazioni e eventuali aggiornamenti”.

La “Via Crucis” dei due militari della Marina italiana inizia dall’incidente in mare del 15 febbraio 2012, al largo dello Stato indiano del Kerala, in cui sono morti due pescatori sul loro peschereccio. Latorre e Girone, allora in missione di sicurezza su una petroliera battente bandiera italiana, sono stati subito accusati di aver sparato e di essere i responsabili della morte dei due pescatori. Accusa che i due militari italiani hanno sempre respinto. Da allora, per loro, si sono aperte le porte dell’inferno. “Cerchiamo di condurre una vita per dare maggiormente la serenità ai nostri figli – continua a raccontarci Vania Ardito, moglie di Girone -. Ovviamente viviamo una costante preoccupazione per la sentenza di ottobre. Non possiamo più vivere di continue incertezze, di come si evolverà ancora questa vicenda. Nessuno finora ci ha dato né tempi, né conclusioni di ogni genere. Non si può più vivere di incertezze”.

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Una storia kafkiana. Gli arresti dei due militari, un’inchiesta indiana piena di errori e contraddizioni animata da scontri diplomatici. E ancora prigione, il rilascio su cauzione con obbligo di firma, il ritiro dei passaporti e il divieto di tornare in patria. Il braccio di ferro tra Italia e India durato anni, le manifestazioni nel nostro Paese per chiedere il rimpatrio dei due fucilieri, che rischiavano la pena di morte. Poi il rientro in Italia: nel 2014, a seguito di un ictus, viene concesso a Latorre di tornare. Un paio d’ anni dopo, nel maggio 2016, stessa decisione per Girone. Da allora è calata una cappa di silenzio sui due marò. “Ecco perché speriamo anche di essere contattati dal governo – ci sottolinea la signora Vania -. Finora non abbiamo sentito nessuno”. Di silenzi, le due famiglie ne hanno sentiti tanti e forti. Di chiacchiere e promesse da marinai – permetteteci il termine – di più. Politica e politicanti si sono strappati le vesti e hanno riempito pagine di giornali con interviste a tutto campo.

Oggi Girone è impiegato presso la capitaneria di porto a Bari; Latorre, invece, è in servizio presso la segretaria del capo di Stato maggiore della Difesa. L’obbligo per entrambi è di non lasciare il Paese. Ogni mese devono andare a firmare, in un commissariato di polizia. India e Italia si sono affidate a un arbitrato internazionale, ma il braccio di ferro continua. L’intricata vicenda è passata a una Corte ad hoc a L’Aja, nota anche per i suoi tempi biblici. Il dibattimento durerà alcune settimane e la sentenza è attesa per la primavera del 2019. Allora – si spera – si saprà chi, tra Italia e India, avrà la giurisdizione per giudicare la colpevolezza o meno di Girone e Latorre reclamata sia da Roma, perché i militari erano a bordo di una nave battente bandiera italiana e in servizio antipirateria sotto egida Onu per conto dell’Italia (godevano dunque della cosiddetta “immunità di servizio”), sia da parte dell’India, perché la Enrica Lexie si trovava in acque contigue indiane, dunque di propria competenza, “dove perlatro è vietato entrare in possesso di armi.

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I marò facevano, invece, parte di un team antipirateria, con in dotazione armi a protezione del mercantile. La Ardito “spera” tanto che il governo Conte batta un colpo. “Vogliamo sapere pure qual è il loro pensiero su questa triste e travagliata vicenda, ma soprattutto se rientra tra le loro priorità. Sono trascorsi circa sei anni e mezzo, e in questo periodo si sono susseguiti diversi governi”. E’ fiduciosa, ma non troppo. Tuttavia, la Ardito tiene a dire: “Voglio cogliere l’occasione di ringraziare gli italiani che costantemente continuano a ricordarci e sostenerci con messaggi di solidarietà e iniziative. E questo, per noi, è importantissimo”. Una vicenda che è passata dalle mani di quattro governi, tre di sinistra e uno, definiamolo, tecnico: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. Nessuno è stato in grado di tirare fuori dai guai i nostri militari. Sono passati sei anni e mezzo. Intanto, il calvario continua.

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