Pd chiede a Gentiloni di blindare Rosatellum, dubbi di Orlando

Pd chiede a Gentiloni di blindare Rosatellum, dubbi di Orlando
Il premier, Paolo Gentiloni e il segretario del Pd, Matteo Renzi
11 ottobre 2017

I dubbi ci sono, non solo tra qualche “dissidente” del Pd. La scelta di porre la fiducia sulla legge elettorale – la seconda in questa legislatura dopo quella voluta da Matteo Renzi sull’Italicum – certo non era nel cassetto dei desideri di Paolo Gentiloni, ma “non c’era altra possibilità, e la decisione l’abbiamo presa venti giorni fa, mica oggi”, dice uno dei principali dirigenti democratici. Il punto, viene sottolineato, era evitare che saltasse il patto, come era accaduto a maggio sul modello tedesco: “Cento voti segreti non li reggi – insiste il dirigente Pd – soprattutto quelli sul voto disgiunto o sulle preferenze. Il problema non la singola modifica alla legge, noi potremmo anche farci una ragione del voto disgiunto, per dire, ma a quel punto si alzerebbe Brunetta e direbbe: noi non ci stiamo più”. E’ proprio questo lo spirito che ha portato anche il Quirinale a dare la propria copertura all’operazione. Il capo dello Stato si è premurato di far filtrare il proprio apprezzamento per “l’impegno” messo per approvare la legge elettorale, ovvero, appunto, sulla scelta di porre la fiducia. Dalle parti del Colle, raccontano, vivono come un incubo l’idea che dopo le elezioni si possa andare incontro a ricorsi e a incertezze dovute a un meccanismo elettorale-alrlecchino come quello uscito dalle due sentenze della Consulta su Porcellum e Italicum.

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Un meccanismo inevitabilmente frutto di un’operazione di ‘taglia e cuci’, perché certo la Corte non poteva riscrivere la normativa. Certo, “Gentiloni non era alle stelle”, ammette Ettore Rosato, capogruppo Pd che ieri mattina si è fatto carico di chiedere al governo di entrare in campo. “La fiducia l’abbiamo chiesta noi. Ma lui era assolutamente d’accordo”, anche se non entusiasta. “E’ consapevole – aggiunge un altro deputato Pd – che non approvare la legge elettorale nemmeno stavolta avrebbe avuto conseguenze pesanti per il sistema: elezioni con una legge raffazzonata che non dà nemmeno una lontana possibilità di avere un governo: con il Consultellum si tornerebbe a votare dopo sei mesi, così c’è una possibilità…”. La possibilità, è ovvio, sono le nuove larghe intese, è quello – stando ai sondaggi attuali – l’unico possibile schema su cui si potrà tentare di costruire un governo dopo il voto. E se è vero, come dice un altro parlamentare Pd, che “Gentiloni esce un po’ ammaccato, perché aveva detto che il Governo si sarebbe tenuto fuori dalla legge elettorale”, è anche vero che proprio lui resta in prima fila come possibile presidente del Consiglio di un nuovo governo di larga coalizione, dopo il voto.

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Come spiegava lunedì Bruno Tabacci, l’Italia non è la Germania e anche se il Pd dovesse essere il primo partito – cosa tutta da verificare – non sarebbe il segretario democratico la figura più adatta per fare “la sintesi”. I dubbi, peraltro, sono emersi anche al consiglio dei ministri che stamattina ha autorizzato la fiducia. E’ stato Andrea Orlando, pure sostanzialmente favorevole alla legge, a mettere in guardia dall’uso della fiducia esprimendo “perplessità” e chiedendo comunque di fare un ultimo tentativo di apertura alle opposizioni, prima di usare questa arma. Il ministro della Giustizia ha chiesto di provare per l’ennesima volta un dialogo, soprattutto con la sinistra di Mdp e Si, magari sul voto disgiunto. Appello che è rimasto però inascoltato. Adesso, non resta che aspettare che si consumi il rito della fiducia – tra le polemiche e le accuse di “fascismo” – per poi andare al voto finale, che pure non è scontato. Il voto conclusivo, infatti, sarà comunque segreto e un’imboscata non si può escludere. “Ma a quel punto i voti ci saranno – conclude, fiducioso, il dirigente Pd – avremo anche più voti di quelli che immaginavamo…”.

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