Pd, con Minniti e Martina verso segretario eletto in assemblea

Pd, con Minniti e Martina verso segretario eletto in assemblea
Marco Minniti, ex ministro degli Interni
2 novembre 2018

Un’alleanza congressuale che ha come perno Marco Minniti. Sarebbe questa la chiave di lettura, offerta da un esponente dem di primo piano, della candidatura dell’ex titolare del Viminale alla segreteria del Partito democratico in procinto di essere ufficializzata. Fonti qualificate del partito spiegano che attorno a Minniti si sarebbe trovata una larga convergenza tesa a superare le divisioni che si erano registrate tra i renziani attorno alla figura dell’ex ministro.

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La corrente che fa capo a Matteo Orfini, in particolare, non e’ sembrata entusiasta dell’opzione Minniti ed e’ per questo che, assieme a un gruppo nutrito di renziani della prima ora, hanno deciso di sostenere il segretario uscente. Secondo questo schema, la soluzione del congresso si avrebbe all’interno dell’assemblea e non alle primarie. Lo statuto dem parla chiaro, in mancanza di un vincitore che conquisti il 51 per cento delle preferenze, la parola spetterebbe all’Assemblea. La candidatura di Minniti servirebbe, per chi alla soluzione ha lavorato, per non spaccare definitivamente il partito e uscire vivi dalle elezioni europee. Ma lo schema non piace a Nicola Zingaretti e alla compagine che lo sostiene. Anche perche’, con Martina sostenuto da una parte dei renziani e Minniti dalla restante parte, e’ facile immaginare quale saranno gli abbinamenti in assemblea.

Martina non scioglie la riserva, dice che ci sta pensando, ma intanto azzarda paragoni: tra lui e gli altri candidati, spiega, c’e’ una netta differenza, “sono piu’ riformista di Minniti e piu’ radicale di Zingaretti”. Parole che confermano come al segretario uscente manchi solo il pettorale per partecipare alla corsa. Stesso dicasi per Minniti che si trincera dietro una formula di rito come “mi candido solo se saro’ utile al partito”. In realta’ l’alto numero di apparizioni Tv dell’ex esponente del governo Gentiloni lascia poco spazio a dubbi. La sua discesa in campo e’ ormai questione di giorni, se non di ore. Ai suoi interlocutori Minniti esclude che il passo decisivo possa arrivare in occasione della presentazione della sua ultima fatica letteraria, “Sicurezza e’ liberta’”.

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Un tema troppo delicato e di portata nazionale per essere derubricato a parentesi congressuale. Con Zingaretti rimangono schierati parti importanti del mondo dem, dalla sinistra di Andrea Orlando ad Area Dem di Dario Franceschini, oltre a Paolo Gentiloni che e’ stato protagonista del lancio della campagna congressuale del governatore. Una capacita’ di fuoco che spiega anche la dura reazione delle truppe renziane – ma non solo – all’infortunio dialettico di Bruno Astorre, candidato alla segreteria del Lazio e vicino all’area di Franceschini, ma anche uomo di raccordo nel Lazio tra renziani e le altre anime del partito. In un incontro pubblico a Viterbo, Astorre ha citato Casa Pound come esempio di partito che sa stare in mezzo alla gente.

Una “iperbole”, ha precisato poco dopo Astorre, ma cio’ non ha fatto retrocedere gli oppositori del governatore del Lazio: dal competitor di Astorre, l’orfiniano Claudio Mancini, al ‘turbo renziano’ Luciano Nobili, fino ad arrivare a Beppe Fioroni che sottolinea “il silenzio imbarazzato” del presidente della Regione Lazio. Zingaretti osserva le manovre in atto. Il candidato segretario continua il suo giro d’Italia con i comitati Piazza Grande che hanno superato le 500 unita’. Ed e’ proprio la responsabile dell’organizzazione dei comitati, Paola De Micheli, a rispondere a chi imputa a Zingaretti scarsa capacita’ di unire il fronte democratico: “La candidatura di Zingaretti e’ l’unica in campo che allarga e unisce. Come gia’ e’ avvenuto in tutte le elezioni. Le altre rispettabili ma perdenti”.

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