Per il Colle Renzi cerca il nome per disarmare la minoranza Pd

Per il Colle Renzi cerca il nome per disarmare la minoranza Pd
14 gennaio 2015

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Il vero problema, per Matteo Renzi, è quello di convincere il Pd, il premier è convinto di avere un patto saldo con Silvio Berlusconi e la stessa convinzione, che in questo caso diventa una preoccupazione, è ormai radicata anche nella minoranza del partito, e non solo. Il patto del Nazareno applicato al Quirinale rischia di tagliare fuori non soltanto la sinistra Pd ma anche i tanti possibili papabili in casa democratica, che temono un accordo con Berlusconi su un nome non troppo ingombrante né per Fi né per Renzi. Per questo il premier, alla vigilia delle dimissioni formali di Giorgio Napolitano, ha avviato la macchina che deve portare all’individuazione di un candidato gradito sì a Berlusconi, ma innanzitutto al Pd o a buona parte di esso, per evitare una rivolta in aula. In mattinata Renzi riunirà la segreteria per preparare la direzione di venerdì, dove verrà indicato il “percorso” e probabilmente “il profilo”, ma non ancora il nome, del candidato per il Colle.

Già ieri il premier un segnale rassicurante ha voluto darlo: bisogna eleggere un nome di “grande livello”, una descrizione che, in teoria, dovrebbe escludere l’ipotesi più temuta in casa Pd, ovvero quella di un candidato low profile che non faccia ombra a palazzo Chigi. Il fatto che Renzi abbia ricordato che, in base alla Costituzione, il presidente della Repubblica è un “arbitro” e non un “giocatore”, non significa affatto che siano da escludere uomini di partito, anzi. Il modello, spiegano fonti vicine al premier, è quello di un presidente “alla Napolitano”, quindi un politico a trecentosessanta gradi, magari non impegnato in prima linea negli ultimi tempi ma con un’autorevolezza indiscutibile.

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Perché se è chiaro che un certo numero di franchi tiratori ci saranno, è anche vero che un nome non abbastanza importante offrirebbe a tanti, non solo ai dissidenti Pd, il pretesto per vendette nell’urna: in queste settimane nel toto-Quirinale sono entrate figure di un po’ tutte le aree Pd e solo una figura forte potrebbe ridurre al minimo fisiologico le defezioni al momento del voto. Per questo ieri pomeriggio alla Camera si parlava molto soprattutto di un paio di nomi, quelli di Walter Veltroni e di Piero Fassino: entrambi provenienti dalla storia della sinistra italiana, difficili da contestare per l’area del Pd più critica con Renzi che magari spera invece di riuscire a imporre Pier Luigi Bersani. Diverso sarebbe il nome di Giuliano Amato, pure circolato in queste ore: in questo caso ci si troverebbe di fronte allo schema temuto da un bel pezzo di Pd, un nome deciso con Berlusconi e poi comunicato al partito.

Proprio questa è l’immagine che Renzi deve evitare di offrire, anche oggi lo stesso Bersani si è fatto sentire per dire che sarebbe “singolare” se sulla legge elettorale si “ascoltasse anche Gengis Khan e non il Pd”. Un discorso fatto per l’Italicum ma validissimo anche per il Colle, come spiega un bersaniano: “Va bene cercare un nome che possa essere votato anche da Fi. Ma si deve partire da dentro al Pd, per individuare il candidato, non può succedere il contrario”.

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Renzi, dice uno dei suoi, “sa che alcuni del Pd non voteranno il candidato che sceglieremo nemmeno se indicassimo Superman. Ma dobbiamo ridurre al minimo i franchi tiratori”. Anche per questo sulle riforme, ieri mattina, Maria Elena Boschi ha fatto delle aperture, sui cosiddetti “senatori a vita”, che in realtà senatori a vita non sono, e sull’esame preventivo della legge elettorale affidato alla Consulta. Segnali che servono a ridurre l’area del dissenso e a preparare il terreno. La direzione Pd di venerdì fisserà poi un profilo e affiderà al premier-segretario un mandato per lavorare su quell’identikit, quindi verso il 25 gennaio saranno convocati i grandi elettori democratici per la benedizione del candidato e solo dopo, eventualmente, ci potrà essere un incontro ufficiale con Berlusconi.

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