Pinotti, Veltroni, Draghi. È già corsa al Quirinale

12 giugno 2014

La partita per il dopo-Napolitano al Quirinale è cominciata il giorno in cui Matteo Renzi è entrato a Palazzo Chigi. Da quel momento, complice l’energia del neopremier, la cosiddetta “politica” ha ripreso slancio e le intemerate del Capo dello Stato si sono diradate sempre di più. Certo, c’era bisogno della conferma che il governo fosse davvero solido e che, quindi, Re Giorgio potesse serenamente farsi da parte per lasciare che questo Parlamento eleggesse il suo successore. E il segnale è arrivato dal successo del Pd alle Europee, un 40% e passa di voti che ha reso l’orizzonte del 2018 per il governo un po’ più plausibile. Non è un caso se proprio nei giorni scorsi Napolitano è tornato a ribadire che il suo mandato è “temporaneo” e che è legato all’approvazione di quelle riforme – elettorale e istituzionali – più volte invocate.

Il Capo dello Stato accompagnerà sicuramente il Paese al semestre di presidenza della Ue, dal prossimo luglio. Poi ogni momento potrebbe essere quello buono per il passo indietro. Lui lascerebbe già a inizio 2015, se non prima. Renzi vorrebbe convincerlo a restare almeno fino all’apertura dell’Expo, qualche mese dopo. La data limite che circola al Colle è in ogni caso il 29 giugno 2015. Quel giorno Napolitano compirà 90 anni. Decisamente troppi, per caricarsi ancora sulle spalle il destino del Paese. Su tutto gravita, però, una grossa incognita: l’avvio della stagione delle riforme. Dopo lo sprint dato dal “patto del Nazareno”, il processo si è arenato. Sia sull’Italicum, la cui formula “bipolare” si scontra ora con le difficoltà di Forza Italia e l’avanzare del MoVimento 5 Stelle. Sia sul Senato, la cui composizione, com’è stata concepita dal governo, non piace per niente a Berlusconi.

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Per sbloccare l’impasse sarà necessario un nuovo incontro tra il premier e il leader di Forza Italia, che i rumors di palazzo fisserebbero già alla prossima settimana, probabilmente martedì. A quel punto Renzi metterà sul tavolo anche la scelta del nuovo inquilino del Colle: se facciamo le riforme insieme – sarà il senso delle parole del premier – faremo insieme anche il resto. Una proposta che Berlusconi difficilmente rifiuterà, visto che con un Parlamento che resta a grossa maggioranza di sinistra, rischierebbe di ritrovarsi al Quirinale personalità sgradite.

Se intesa ci sarà, insomma, il primo nome ad essere depennato sarebbe quello di Romano Prodi . Il professore bolognese, in realtà, sostiene di essersi già tirato fuori. La scottatura dei “101 traditori” fa ancora male, ma la sua candidatura resta una carta giocabile in caso di emergenza. Se ci fosse bisogno, cioè, di intercettare qualche voto del MoVimento 5 Stelle. Assai più probabili nomi “bipartisan”. In rialzo, ad esempio, sono le quotazioni di Walter Veltroni , tornato alla ribalta grazie all’operazione culturale organizzata intorno alla figura di Berlinguer e prodigo di complimenti nei confronti del Partito Democratico di Renzi. Ma il nome più gettonato nelle ultime ore è quello di Roberta Pinotti , attuale ministro della Difesa. Apprezzatissima dal mondo militare – il Presidente della Repubblica è anche il capo delle forze armate – la senatrice Dem sarebbe gradita anche dal centrodestra e avrebbe quel quid in più del genere femminile. Finalmente una “presidenta”? Lo dirà il tempo. Nella corsa “rosa”, in ogni caso, la Pinotti è rimasta quasi da sola. Se Annamaria Cancellieri pare ormai bruciata dal “caso-Ligresti”, Emma Bonino – che pure meriterebbe un “risarcimento” dopo l’improvvisa estromissione dal ministero degli Esteri – paga i troppi precendenti – nel 2006 e nel 2013 – in cui è entrata in Conclave da Papa e ne è uscita cardinale.

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Altro nome forte che circola da tempo è quello del presidente della Bce Mario Draghi . Il suo mandato a Francoforte terminerebbe nel 2019, ma da qualche tempo la sua poltrona non sembra essere più così salda, specie da quanto si è inimicato la Germania sostenendo la necessità di passare da una politica di solo rigore a una che punti maggiormente su sviluppo (e investimenti). Il suo nome, che gode di un enorme prestigio all’estero, incontrerebbe il favore di Silvio Berlusconi, ma forse meno quello di Matteo Renzi, che ha già chiarito di immaginare – per il dopo Napolitano – il ritorno a una gestione “notarile” della presidenza della Repubblica. Niente figure troppo ingombranti o decisioniste, quindi. Meglio, magari, un suo fedelissimo. Non a caso negli ultimo giorni sono tornati a circolare i nomi del suo sottosegretario Graziano Delrio e del sindaco di Torino Piero Fassino . Quest’ultimo, in particolare, ha ricevuto l’endorsement di Carlo De Benedetti. E non è detto che porti fortuna.

Inevitabile, inoltre, pensare all’attuale seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Pietro Grasso . Mentre ci sarebbe anche un ex presidente della Camera interessato, quel Pier Ferdinando Casini che ha defenestrato Mario Mauro dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato per fare un favore a Renzi e – si sussurra a Palazzo Madama – per tenersi aperta la strada che porta al Colle più alto di Roma. Dopo un comunista – è la teoria – il Capo dello Stato non può che essere un democristiano. Ci sono poi quelli che, pur essendo stati citati più volte nella corsa al Colle, dovranno con ogni probabilità rinunciare alle ambizioni. Difficile, ad esempio, che possano tornare in auge Giuliano Amato e Massimo D’Alema . Il primo, probabilmente il più gradito proprio a Giorgio Napolitano, non possiede quei requisiti di “novità” e “sorpresa” ai quali Matteo Renzi vuole ispirarsi. Idem per il secondo, che ha già partecipato al toto-Quirinale nel 2006 e nel 2013 ed ora sembra più concentrato sulle poltrone europee.

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Dalla corsa sembrerebbero esclusi anche Pier Luigi Bersani , troppo inviso a Forza Italia, e i membri della “dinastia” Letta . Difficile che Berlusconi, con i numeri risicati in Parlamento, possa imporre il suo ex sottosegretario Gianni . Impossibile, inoltre, che tocchi a Enrico , il cui nome pure era rimbalzato in qualche conversazione. Non fosse altro che per un fatto d’età: per salire al Quirinale bisogna avere almeno 50 anni, e l’ex premier li compirà solo il 20 agosto 2016. Certo, se Napolitano tenesse duro ancora un po’…

 

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