Procura spagnola, carcere per governo catalano. Puigdemont ancora in Belgio

Procura spagnola, carcere per governo catalano. Puigdemont ancora in Belgio
L'ex presidente regionale catalano, Carles Puigdemont
2 novembre 2017

Con la citazione in tribunale dei nove membri del governo regionale catalano che si trovano ancora in territorio spagnolo è iniziata l’offensiva giuridica di Madrid per cercare di stroncare l’indipendentismo, dopo il commissariamento della Comunità Autonoma deciso la settimana scorsa con l’applicazione dell’articolo 155. I capi di imputazione sono pesantissimi: ribellione, sedizione e malversazione dei fondi pubblici (ovvero le spese di organizzazione del referendum del primo ottobre scorso), per una pena che può arrivare al massimo previsto dal codice penale spagnolo (trent’anni di carcere), che non prevede l’ergastolo. Ma al di là della possibile condanna al termine di un processo, la Procura dell’Audiencia Nacional ha già chiesto la carcerazione preventiva senza possibilità di cauzione per otto dei nove ministri del governo regionale catalano che si sono presentati nella capitale spagnola per essere interrogati, e che hanno risposto solo alle domande dei propri avvocati. Si tratta del titolare di Economia e vicepresidente regionale Oriol Junqueras, e dei suoi colleghi Jordi Turull, Raul Romeva, Josep Rull, Joaquim Forn, Carles Mundò, Dolors Bassa e Meritxell Borràs; il nono, Santi Vila, aveva presentato le proprie dimissioni dal governo regionale prima del voto sull’indipendenza e per lui la Procura ha chiesto la libertà su cauzione. Ora spetterà al giudice istruttore – forse già entro le cinque di questo pomeriggio – decidere sulle eventuali misure cautelari da adottare; all’appello dei giudici mancano ancora il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, e gli altri componenti dell’esecutivo regionale ancora in Belgio: tutti hanno chiesto di poter deporre in videoconferenza, senza che al momento sia stata data alcuna autorizzazione in tal senso da parte della Procura.

La Corte Costituzionale invece ha deciso di rinviare al 9 novembre prossimo la deposizione dei sei componenti indipendentisti della presidenza del Parlamento regionale – protetti per ora dall’immunità parlamentare – accusati degli identici capi di imputazione e che dunque rischiano identiche sanzioni. Difficile dire quanto lontano vorrà spingersi Madrid dal momento che i sondaggi in vista delle elezioni regionali convocate – in virtù dell’articolo 155, contro il quale gli indipendentisti non hanno presentato alcun ricorso legale – per il 21 dicembre prossimo danno un esito pressoché identico a quello del voto di due anni fa: le formazioni indipendentiste otterrebbero la maggioranza assoluta in Parlamento. Un’offensiva legale eccessiva rischierebbe infatti di accrescere ulteriormente il consenso all’indipendenza, stando alle rilevazioni aumentato di otto punti percentuali nel corso dell’ultimo mese e che ora è arrivato al 48,7% (record in tutte le rilevazioni a domanda binaria) contro un 43,6% di contrari; nel giugno scorso erano rispettivamente il 41,1% e il 49,4%. Da notare che il quesito posto invece sotto forma di preferenze multiple dà l’indipendenza al 40,2% (+10% rispetto allo scorso giugno) contro un 27,4% che difende l’attuale staus quo più o meno raffrozato, un 21,9% di federalisti e un 4,6% che vorrebbe la Catalogna una semplice regione della Spagna: a difendere la necessità di un cambiamento costituzionale sarebbe quindi oltre il 60% dell’elettorato.

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