Puigdemont “esule” a Bruxelles: “Garanzie o non torno in Spagna”. E il tribunale spagnolo lo convoca

Puigdemont “esule” a Bruxelles: “Garanzie o non torno in Spagna”. E il tribunale spagnolo lo convoca
Palazzo del Tribunale costituzionale spagnolo
1 novembre 2017

Il deposto presidente della catalogna Carles Puidgemont e’ stato formalmente convocato da un tribunale spagnolo per rispondere delle accuse mossegli dopo la dichiarazione di indipendenza.- Puidgemont e gli altri 13 accusati dovranno comparire nelle giornate di giovedi’ e venerdi’, inizialmente per essere interrogati. Inoltre sono stati dati loro tre giorni per trovare 6,2 milioni di euro da lasciare come deposito. Ieri, il presidente della Generalitat catalana, in un’affollatissima conferenza stampa a Bruxelles, ha chiesto “all’Europa di reagire” per difendere i valori “della democrazia, della libertà, della libertà d’espressione, dell’accoglienza e della non violenza. Permettere al governo spagnolo di non accettare il dialogo con noi, e di tollerare invece la violenza dell’estrema destra, di imporsi militarmente e metterci in prigione per 30 anni, tutto questo sarebbe la fine di un’idea di Europa. Un errore enorme che tutti pagheremmo troppo caro”. E’ la prima, forse, di una serie di conferenze stampa di un governo autonomo destituito dalle autorità centrali che in Spagna non potrebbe più riunirsi, e che proprio ieri ha aperto un sito web usando il dominio dell’Ue (president.exili.eu/), visto che i suoi siti originari catalani sono stati soppressi dal governo di Madrid. Puigdemont, comunque, ha chiarito subito di non essere venuto a chiedere l’asilo politico al Belgio (anche perché deve essere stato sconsigliato dal farlo, visto le scarse possibilità che la domanda possa essere accolta), ma di essere venuto a Bruxelles “come cittadino europeo” perché questa “è la capitale dell’Unione europea”, e perché in Catalogna non c’erano più per lui e il suo governo né la sicurezza, né le condizioni per poter continuare a lavorare tranquillamente, né la garanzia della neutralità della magistratura che li accusa.

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“Vogliamo denunciare la politicizzazione della giustizia spagnola, la sua mancanza di imparzialita’, il suo perseguire le idee e non i reati e per spiegare al mondo le serie mancanze democratiche dello Stato spagnolo”, ha spiegato. L’espressione “governo in esilio” non viene mani utilizzata, ma di fatto e’ quello che ha prospettato Puigdemont, annunciando che non tornera’ a Barcellona fino a quando non ci saranno sufficienti garanzie da parte dello Stato spagnolo. “Per quanto tempo (resteremo a Bruxelles)? Dipende dalle circostanze”, ha risposto il leader indipendentista: “Se ci fossero garanzie immediate di un trattamento giusto, che garantisca un processo equo e indipendente con un’effettiva separazione dei poteri, ritorneremmo immediatamente”. Inoltre, ha sottolineato, restare in Catalogna avrebbe probabilmente fornito al governo di Madrid il pretesto per scatenare la repressione violenta già vista il giorno del referendum, il primo ottobre scorso. Puigdemont e alcuni suoi ministri sono andati a Bruxelles perché “è la capitale dell’Europa”. “Siamo cittadini europei – ha aggiunto – e possiamo circolare liberamente. Siamo qui per essere più liberi e tranquilli e non esposti a minacce”. Per il capo del governo catalano, “se fossimo rimasti in Catalogna con un atteggiamento di resistenza, sono convinto, in base a informazioni ricevute, che ci sarebbe stata una reazione di enorme violenza da parte dello Stato, com’è già successo il primo ottobre (il giorno del referendum, ndr). Ma io non voglio più esporre i miei concittadini a una simile violenza. Non vogliamo fornire pretesti. E’ per questo che agiamo in modo da non contribuire ad alimentare questo clima di scontro, ma comunque agendo contemporaneamente come governo”.

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Puigdemont, inoltre, ha sfidato il governo di Madrid a rispettare il risultato delle prossime elezioni, anche se in Catalogna dovessero vincere gli indipendentisti. “Noi rispetteremo – ha assicurato – i risultati delle elezioni convocate per il 21 dicembre, come abbiamo sempre fatto, quale che sia il risultato. Ma chiedo al governo spagnolo: faranno lo stesso? Voglio un impegno chiaro da parte dello Stato: sono pronti a rispettare un risultato che dia la maggioranza agli indipendentisti o no? Sono pronti a rispettare il risultato elettorale, quale che sia? Noi lo faremo”, ha concluso. Intanto, torna a crescere il numero di catalani che vorrebbero l’indipendenza dalla Spagna. È quanto emerge dal macrosondaggio di opinione condotto dal Centre d’Estudis d’Opiniò (Ceo) della Generalitat, il governo autonomo della Catalogna, pubblicato con cadenza trimestrale. In particolare, secondo l’inchiesta demoscopica, i favorevoli all’indipendenza sarebbero il 48,7%, contro il 43,6% di contrari: un aumento del 7,6% degli indipendentisti. Secondo il sondaggio, il 64,6% degli intervistati sono convinti che la Catalogna abbia un livello insufficiente di autonomia, il 23% crede che sia un livello sufficiente, mentre solo il 5,4% ritiene che l’autogoverno della regione sia eccessivo.

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