Realtà e irrealtà, identità e distopia: Jon Rafman a Modena

29 dicembre 2018

La tecnologia, la memoria, i videogiochi, la realtà virtuale e i piani narrativi. L’artista canadese Jon Rafman racconta, attraverso linguaggi artistici molto diversi, il presente della nostra vita iperconnessa, rimettendo al centro la domanda fondamentale sull’idea stessa di realtà. La Fondazione Modena Arti Visive gli dedica una mostra, “Il viaggiatore mentale”, curata da Diana Baldon. “E’ un artista – ci ha spiegato la curatrice – che si è occupato molto di tecnologie digitale, ma, sebbene sviluppi un lavoro che parte da quello che è un nuovo genere di pratica artistica che si ispira a una categoria chiamata post Internet, in realtà quello che fa è indagare gli aspetti e le conseguenze dell’utilizzo di dispositivi tecnologici sull’essere umano: la perdita di identità, i confini che diventano sempre più sfocati tra il reale e la simulazione del reale”.

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Il punto è nodale: proprio su questo confine si giocano le partite più importanti, sia quella colossale che riguarda gli interessi economici degli Over the Top, sia quella, altrettanto cruciale, che investe la possibilità e gli strumenti che la rappresentazione può ancora mettere in campo per provare a decrittare il nostro tempo. “C’è sempre questa ambivalenza – ha aggiunto la curatrice – tra quella che è la realtà del fruitore o dell’utente di questi dispositivi, mentre dall’altra parte c’è questa esperienza di immersione totale, di viaggio in una dimensione che non è reale, ma comunque ha un’influenza molto forte proprio sulla realtà materiale che esiste intorno, sulla propria identità”.

Tra fotografie, installazioni e film, Rafman entra dalla porta principale della narrazione ufficiale, per poi però dedicarsi alle sue versioni più spaventose e distopiche. “Credo che in ogni epoca – ha detto l’artista – la nostra immaginazione culturale abbia prodotto un’idea di distopia e ognuna di queste distopie rivela le paure di quel particolare tempo e luogo. Nella mia di distopia gli esseri umani sono trasformati in avatar senza voce che subiscono torture e non possono morire. Oggi non siamo governati da un’entità esterna e totalizzante con in 1984 di Orwell, ma da certi algoritmi che ci dominano”. La mostra è allestita presso la Galleria Civica di Modena, nella Palazzina dei giardini e resta aperta al pubblico fino al 24 febbraio prossimo.

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