Referendum, Grillo scommette sul No e punta a spallata a Renzi. Ma c’è incognita scandali

Referendum, Grillo scommette sul No e punta a spallata a Renzi. Ma c’è incognita scandali
3 dicembre 2016

Appesantito dalla difficile sfida di Virginia Raggi al governo di Roma e dal riesplodere dello scandalo delle firme copiate a Palermo, che ha portato alla sospensione di parlamentari di prima fila come Riccardo Nuti e Claudia Mannino, il Movimento 5 stelle punta forte sul No al referendum costituzionale. “Votate con la pancia guardandoli in faccia”, è l’appello lanciato a Roma da Beppe Grillo, tornato da tempo in servizio permanente effettivo come speaker del movimento in piazza e sul web. Il messaggio è che il voto vero è sul governo Renzi, non sulla complessa riscrittura della Carta. E il passo successivo alla auspicata vittoria del No, per il M5S, deve essere il voto, perché anche Matteo Renzi ha scommesso tutto sulle urne referendarie e ha promesso a suo tempo che da sconfitto si farà da parte. “Se Renzi dovesse per davvero far seguire alle sue parole i fatti (ma siamo abituati a un premier che dice una cosa e fa sempre il contrario) a Costituzione vigente dovrà essere il presidente della Repubblica a gestire un eventuale dopo Renzi”, è la linea ufficiale che Nicola Morra, uno dei big della prima ora, snocciola al telefono.

“Per noi la via maestra è il ritorno alle urne”. La linea è sempre quella: no ad alleanze o accordi di governo, il movimento resta indisponibile a sostenere un eventuale esecutivo tecnico o di transizione. E se Renzi non lasciasse palazzo Chigi nonostante una vittoria del No? “A quel punto – spiega una voce interna al movimento – lo scontro tornerebbe caldissimo. Non staremmo a guardare”. Formalmente, il M5S non dice no a una modifica del’Italicum, “ma la legge elettorale la può fare anche un governo dimissionario”, precisa Morra. Ma è proprio la legge elettorale, raccontano alcuni parlamentari stellati, l’oggetto della discussione interna più delicata. Come si deve comportare il movimento se Renzi dopo il 4 dicembre apre il tavolo per cambiare l’Italicum, come ha promesso alla minoranza interna del Pd? Non è un segreto che gli equilibri politici, da quando la riforma elettorale è stata varata, sono cambiati. Tutti i sondaggi, oltre alle esperienze delle ultime amministrative, dicono che il meccanismo che forza verso il bipolarismo e il ballottaggio potrebbero portare proprio alla vittoria del movimento fondato da Grillo.

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Se costretti, i 5 stelle rilanceranno il loro “democratellum”, la legge elettorale proporzionale parzialmente ispirata al modello spagnolo, che affida alle circoscrizioni piccole il compito di sbarrare l’accesso in Parlamento ai piccoli partiti. Ma loro stessi ammettono che sarebbe più che altro una posizione di bandiera. L’Italicum, in realtà, polarizzando la gara elettorale, rafforza la necessità di avere un leader riconoscibile, un candidato premier. “Beppe non molla il duo Di Maio-Di Battista, uno per il governo uno per il movimento – racconta una fonte M5S – e con l’Italicum la figura di Di Maio rimane insostituibile. E si indebolisce la fronda degli ex colleghi del direttivo e di quanti lo vorrebbero ridimensionare”. Ma cosa accadrebbe nel M5S se vincesse il Sì? Il fuoco di sbarramento già iniziato sulla regolarità del voto estero, lascia intravedere uno scenario possibile di scontri istituzionali, di azioni legali e di proteste di piazza per contestare la vittoria di Renzi e dei suoi. “In quel caso, che non ci auguriamo, si dovrà capire cosa vuol fare Renzi, che aveva detto di voler arrivare a fine legislatura. Ma è quello che scrisse a Letta ‘Enrico stai sereno…'”, ricorda Morra. E’ chiaro che comunque solo le elezioni potrebbero garantire un compattamento del movimento attorno alle sue figure più rappresentative. In mancanza di una data certa per un voto politico anticipato, invece, tornerebbero a galla le tensioni interne, che senza il collante delle urne e del miraggio del ballottaggio con l’Italicum rischiano di logorare la principale forza di opposizione.

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