Renzi pensa a disertare direzione, prove disgelo

Renzi pensa a disertare direzione, prove disgelo
L'ex segretario del Pd, Matteo Renzi
6 marzo 2018

Matteo Renzi “stacca” per qualche giorno, pensa di non andare alla direzione di lunedì e cerca di raffreddare la “temperatura” nel Pd, giunta ieri a livelli pericolosamente alti sull’onda della sconfitta elettorale. Il segretario Dem dopo lo scontro innescato dalle sue ‘dimissioni ritardate’, oggi ha scritto un lungo post su Facebook, per mettere in chiaro che “le dimissioni sono vere”, facendo sapere che la delegazione che andrà al Quirinale per le consultazioni sarà decisa dalla direzione e che lui potrebbe non farne parte. Allo stesso tempo però ha ribadito la sua linea, che è assolutamente contraria a ogni ipotesi di intesa con il M5s (anche scommettendo su nuove elezioni in tempi brevi), cercando invece di “stanare” chi nel partito sarebbe disposto a farla: “Se qualcuno la pensa diversamente, lo dica in direzione lunedì prossimo o nei gruppi parlamentari”. La convinzione di Renzi, infatti, è che un dialogo con i pentastellati trovi il favore della corrente di Michele Emiliano e che alla fine potrebbe essere valutata anche dagli orlandiani. Questo per quel che riguarda la parte “pubblica”, ma anche in privato Renzi ha fatto le sue mosse. La prima è proprio quella che riguarda la direzione. Il leader potrebbe non andare e ha affidato la relazione introduttiva al vice Maurizio Martina, con cui il confronto, tra domenica notte e ieri, era stato molto acceso. Il ministro dell’Agricoltura, infatti, aveva espresso senza giri di parole la sua contrarietà alle dimissioni post datate e in questo modo il segretario ha voluto in qualche modo ricomporre l’intesa al vertice del partito. Obiettivo che sembra, per il momento, raggiunto.

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Mentre restano tesi i rapporti con altri big del partito, a cominciare da Paolo Gentiloni, che non ha gradito le critiche indirette lanciate ieri in conferenza stampa da Renzi. Il quale, da parte sua, si era legato al dito il passaggio dell’intervista al ‘Corriere della Sera’ in cui il premier affermava che “non so se mi sono mai definito un renziano”. Rapporti freddi anche con Graziano Delrio e con Dario Franceschini, che oggi ha preso posizione pubblica sul tema delle eventuali alleanze con il M5s e sul futuro del Pd. “Non ho mai pensato sia possibile fare un governo con i 5 stelle, e tantomeno con la destra”, ha chiarito su Facebook, parlando di “inutili polemiche o velenosi depistaggi mediatici”. Per quanto riguarda il partito, Franceschini dà il suo appoggio a Martina che “troverà i toni e i contenuti per tenere il partito unito” e a cui “tutti noi daremo una mano”. Un modo per indicare la via d’uscita in questa fase. Anche Orlando, leader della minoranza Dem, si è tolto qualche sassolino dalle scarpe, ma ha cercato anche di ricreare un terreno di confronto. Dunque ha respinto l’impostazione dei “cultori dei caminetti contrapposti agli ‘amici del Popolo'” e invitato a discutere “senza omettere il tema della sconfitta” ed evitando “le tifoserie”. Riconoscendo che “è chiaro che la colpa di una sconfitta così non è addossabile solo a Renzi. C`è di più, molto di più. Quindi, non basterà solo cambiare il segretario per risolvere i nostri problemi”.

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Dunque da entrambe le parti si cerca di evitare il muro contro muro, anche perché conti alla mano nessun esercito può contare su una maggioranza schiacciante: da un lato se tutte le componenti non renziane si saldassero potrebbero arrivare a un “golpe” negli organismi interni, ma dall’altro, per effetto della composizione delle liste, almeno al Senato la maggioranza del nuovo gruppo è saldamente nelle mani del segretario. Dunque la resa dei conti finale, al momento, non converrebbe a nessuno. Meglio rimandare la partita, quindi, al congresso, quando sarà, cercando adesso di arrivare a una gestione più collegiale possibile della fase di transizione. Per la guida del Pd, intanto, già si scaldano i motori. Oggi Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte, ha dato la sua disponibilità, così come il collega dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Ma è Carlo Calenda ad aver calamitato l’interesse dei Dem. Il ministro dello Sviluppo economico ha annunciato via Twitter l’intenzione di iscriversi al Pd perchè “non bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c’è”. Incassando un coro di apprezzamento: partendo da Gentiloni (“Grazie Carlo”) per proseguire, tra gli altri, con Martina, Luigi Zanda, Anna Finocchiaro e Piero Fassino. Che sia l’inizio di una discesa in campo?

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