Renzi asfaltato dalla sua riforma si dimette. E lancia sfida al No: “A voi onere proposte”. Già i primi nomi

Renzi asfaltato dalla sua riforma si dimette. E lancia sfida al No: “A voi onere proposte”. Già i primi nomi
5 dicembre 2016

Termina dopo 1.017 giorni il governo di Matteo Renzi. Arrivato a palazzo Chigi sull’onda della vittoria nelle primarie Pd, lascia travolto da una vittoria “straordinariamente netta” del No al referendum confermativo sulla riforma costituzionale cui aveva legato il suo destino politico. E con un’affluenza alle urne inaspettata: 68,48%.  Il No ha ottenuto il 59,11%, pari a 19.419.528 voti; il Sì il 40,89%, ovvero 13.432.187 voti. Va via “senza rimorsi”, il premier, convinto di aver “fatto tutto quello che era possibile fare in questa fase”. E sintetizza in una battuta: “Volevo tagliare le poltrone, non ce l’ho fatta, la poltrona che salta è la mia”. Perché, rivendica anche nel momento più difficile della sua carriera politica, e assumendosi la piena responsabilità della sconfitta, “io non sono come gli altri: nella politica italiana non perde mai nessuno, io sono diverso, ho perso e lo dico a voce alta anche se con il nodo in gola”. E’ irremovibile Matteo Renzi: il No al referendum costituzionale pone fine all’esperienza del suo governo, senza possibilità di un secondo appello. Il premier lo avrebbe spiegato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nella telefonata in cui gli anticipava quanto avrebbe annunciato poco dopo la mezzanotte, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Il capo dello Stato, che già oggi potrebbe ricevere il premier dimissionario, gli avrebbe ventilato l’ipotesi di inviare il governo alle Camere, per verificare la possibilità di un bis. Ma il presidente del Consiglio gli fa sapere che le dimissioni che consegnerà al capo dello Stato sono irrevocabili, pur garantendo l’approvazione della legge di stabilità. Da domani sarà dunque il presidente della Repubblica, considerato anche dall’opposizione un garante affidabile, a gestire la partita del ‘dopo’. A lui gli esponenti del centrodestra e i Cinque stelle hanno già fatto pervenire, attraverso le dichiarazioni alla stampa, l’auspicio di elezioni anticipate, magari dopo un breve periodo per fare la legge elettorale. Ma è ancora il Pd a detenere il gruppo parlamentare più nutrito e resta dunque il Partito Democratico a tenere il pallino nella mani. Presto per fare i nomi, ma le figure che vengono accreditate nei rumors sono il ministro Pier Carlo Padoan, che farebbe anche da garante per i mercati e per il nodo delle banche. Oppure una figura più politica, come Dario Franceschini, che ha un nutrito drappello di parlamentari Pd. L’alternativa è un governo ‘del presidente’, guidato da una figura istituzionale come il presidente del Senato Pietro Grasso.

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Uno snodo importante per capire con quale proposta il Pd si presenterà al Quirinale è la riunione della direzione del Pd, convocata per domani. Sarà quello il momento per capire come cambieranno gli equilibri interni al partito dopo la sconfitta referendaria. “La colpa è la sua”, diceva più di un dirigente stasera al Nazareno. “Ora non potrà più decidere da solo”, è la tesi non solo della minoranza Dem, che rivendica di aver rappresentato con il No una quota di elettori Pd, ma anche degli esponenti della maggioranza non di stretta fede renziana. L’orientamento di Renzi non sarebbe di lasciare la guida del partito. Anzi, i suoi già spingono perché si ricandidi al congresso, che sarà convocato forse nella direzione di domani, per poi presentarsi alle elezioni politiche. Ma le percentuali della sconfitta, che registrerebbe picchi tra i giovani e al Sud, osserva più d’uno, ‘ammaccano’ anche l’appeal del leader rottamatore. L’uscita di scena dalla sala dei Galeoni di palazzo Chigi vede Renzi abbracciato alla moglie Agnese, che ringrazia “per la fatica di questi mille giorni”. E “grazie ai miei figli e anche a tutti voi”, ha detto rivolto ai giornalisti. “Sono stati mille giorni che sono volati, per me è il momento di rimettermi in cammino”, ha concluso.

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