Renzi pronto a sostenere il “Franceschinellum”, se porterà al voto. Ma si teme Bruxelles

Renzi pronto a sostenere il “Franceschinellum”, se porterà al voto. Ma si teme Bruxelles
4 febbraio 2017

“Forse Franceschini ci ha risolto un problema…”. Un deputato renziano commenta così il dibattito che si è creato intorno alla proposta del ministro dei Beni culturali per riformare la legge elettorale. L’ipotesi di tornare al premio di coalizione non è certo quella gradita a Matteo Renzi, ma, anche stando alle prime reazioni, forse può essere quella in grado di rompere l’assedio che si era venuto a creare intorno al “fortino” del segretario. “Certo Renzi non può sponsorizzarla – riflette un esponente Dem -, coalizione vuol dire Ulivo, non certo il partito a vocazione maggioritaria. E’ il contrario dell’Italicum. Però se serve per andare a votare può essere digeribile”. Eh sì, perché al di là delle dichiarazioni ufficiali l’obiettivo di Renzi è sempre il voto a giugno. Quello che, con i toni soft che gli sono cari, dice il vicesegretario Lorenzo Guerini: “Noi dobbiamo puntare a una convergenza il più ampia possibile che deve arrivare nel più breve tempo possibile”. Quindi ora al Nazareno si fanno i conti.

IL FRANCESCHINELLUM Il ‘Franceschinellum’ ha sin qui ottenuto il placet di Forza Italia e Ncd e, dentro il Pd, della minoranza Dem (che al Senato sarebbe indispensabile) e di esponenti di spicco come il ministro Graziano Delrio. C’è il problema dei ‘giovani turchi’ con l’ala che fa riferimento a Matteo Orfini nettamente contraria e quella di Andrea Orlando cautamente a favore. Un problema considerato risolvibile. Se questi sono i numeri, calcolano gli strateghi renziani, la nuova legge potrebbe essere approvata alla Camera tra il 15 e il 20 marzo, sperando poi in un via libera “blindato” al Senato entro un altro mese. Tempi strettissimi ma, se non ci fossero intoppi su questo percorso, la finestra per andare a votare a giugno potrebbe essere infilata per un soffio. E al momento è inascoltata la voce di chi prova a dire al segretario: “Matteo, attento. Al Paese non conviene votare ora e, guardando i sondaggi, neppure a noi”. Renzi tira dritto e se non appoggerà direttamente la proposta del ministro neanche la osteggerà. La sua linea, a questo punto, è ostentare distacco, per non mostrare di voler andare per forza al voto. “Mi sono rotto, io di legge elettorale non parlo più”, sbotta con chi gli chiede la linea. Ma rispetto all’inizio della settimana, vede uno spiraglio. Tanto che il “termometro verbale” con cui viene misurata la temperatura politica del segretario è passato dal rabbioso “mollo tutto” di qualche giorno fa a un più sereno “potrei anche non fare il candidato premier, magari faccio il king maker”.

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OCCHIO A UE Proposito a cui, peraltro, nel suo entourage, non crede nessuno. A dare una spinta all’iter di approvazione della legge elettorale e dunque al voto, tra l’altro, è la voce che passa tra i parlamentari fedeli a Renzi, potrebbe per una volta essere l’Europa. “Nessuno se lo augura – è la riflessione – ma se i rapporti con l’Ue precipitassero, se ci fosse la procedura di infrazione, servirebbe un governo forte e pienamente in carica, non uno in scadenza, per trattare con Bruxelles”. Un altro governo Renzi eletto, è la traduzione. E non è un caso che sul suo blog l’ex premier abbia pubblicato, tre giorni fa, un post in cui chiede il “rispetto delle regole per tutti”, anche per la Germania. Un intervento “europeo” che potrebbe essere replicato nelle prossime ore. Dunque già si studiano le primarie a fine marzo, rimandando il congresso a dopo le elezioni. Una soluzione, quella di primarie “vere” e di coalizione, che potrebbe compattare il partito, tenendo dentro i bersaniani e Gianni Cuperlo, che oggi è tornato a chiedere un momento di confronto.

DIMETTITI DOMANI “Se potessi dare a Renzi un consiglio fraterno – ha affermato – gli direi: cerca il bene della tua comunità, dimettiti domani e convoca il congresso che può rigenerare un popolo segnato. Se non accadrà prima delle elezioni bisogna restituire al popolo il diritto di parola: si chiamano primarie ma non potranno risolversi nel confronto di una domenica, ma in un confronto vero, in una una scelta collettiva”. Proprio Cuperlo cerca di ritagliarsi un ruolo da “pontiere” con l’area fuori dal Pd: il 20 e 21 aprile a Roma, al termine di una serie di seminari in varie città d’Italia, ha dato appuntamento a Giuliano Pisapia e alla sinistra. Un soggetto che però sembra ben lontano dall’essere pronto a nascere, anche se non mancano i candidati leader. “Bisogna recuperare un’identità egualitaria, e rilanciarla in un’ottica contemporanea. Secondo me questo è il tempo della sinistra”, ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini, in quella che sembra, a molti, una pre-candidatura.

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