Riflessione sull’autonomia siciliana, il nuovo libro di Gaetano Armao

11 luglio 2017

È stato recentemente pubblicato il libro di Gaetano Armao, “Redimibile Sicilia: l’Autonomia dissipata e le opportunità della insularità”, con la prefazione di F. Salvia, Rubettino (2017), pp. 205, del quale di seguito pubblichiamo alcune parti della premessa. Il libro raccoglie i risultati di una riflessione sull’autonomia siciliana al tornante dei settant’anni dell’approvazione dello Statuto e del dibattito che si è sviluppato attorno alla proposta di revisione costituzionale seguita dall’esito del referendum confermativo, ed oggi, dall’esigenza, che permane intatta, di una profonda riforma dell’autonomia differenziata e del riparto di competenze nel mutato contesto istituzionale e socio-economico nazionale ed europeo. Trascorso un notevole lasso di tempo dall’elaborazione dello Statuto autonomistico, attraverso la concreta attuazione e alcuni fallimenti, di fronte all’esito del controverso tentativo di riformare le Regioni, occorre ancora chiedersi se l’autonomia sia ancora utile ai siciliani e di quali riforme necessiti per accrescerne il rendimento istituzionale. E ciò nel contesto di grave disagio che attraversa oggi il Mezzogiorno, opportunamente definito da S. Cassese come “il maggiore fallimento dello Stato unitario”, tra tentativi di superamento del divario, fasi di impegno e di disimpegno istituzionale, prospettive meridionaliste, neo-meridionaliste, cadute il quella che A.O. Hirschmann definiva “fracasomania”, centralità e marginalità nell’agenda politica, che hanno determinato non solo che l’Italia resti l’unico Paese marcatamente duale d’Europa, ma anche quello nel quale, pur di fronte ad alcuni barlumi di ripresa che si intravedono, sebbene relativi ad aree territoriali e comparti circoscritti, si registra complessivamente l’aggravamento del divario tra nord e sud…

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Lo Statuto autonomistico, nonostante le speciali prerogative enunciate, ad accezione di alcune fasi circoscritte nel tempo, ha finito per svolgere un ruolo inerziale soprattutto per le patologie (esogene più che endogene) che ne han-no accompagnato l’attuazione, trasformando l’autonomia in feticcio, troppo spesso utilizzato da classi dirigenti spregiudicate e accompagnate da un basso livello di controllo sociale che non è riuscito a contrastare, per un verso, i molteplici tentativi di compressione della specialità e di progressiva riduzione di trasferimenti – tendenza che oggi ha raggiunto il culmine –, per altro verso, la degenerazione di clientele e privilegi per i titolari di quella intermediazione parassitaria che ha riguardato la politica, la burocrazia, ma anche ampi settori del sindacato e delle associazioni imprenditoriali. Si è così appalesata per la Sicilia, e con sempre maggiore forza, quella “dequotazione della specialità” che G. Corso aveva già rilevato nel 1983, nel rapporto sulla Regione. I dati più recenti sull’andamento dell’economia, la disoccupazione giovani-le, la migrazione studentesca, la qualità della vita delle città della Sicilia, come le tendenze finanziarie e demografiche per il futuro non necessiterebbero di commenti e potrebbero portare alla conclusione, preferita da alcuni, che il di-ritto all’innovazione dei siciliani ha trovato nell’autonomia regionale soltanto elementi depressivi piuttosto che opportunità di crescita. In altre parole, passerebbe l’assunto che in zone culturalmente ed economicamente depresse l’intervento dello Stato centrale (sia nella spesa diretta che nella gestione dei fondi europei) potrebbe offrire elementi di efficienza che non possono essere garantiti a livello regionale…

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Gaetano Armao

Pur senza giungere alla non condivisibile conclusione che ciò sia ascrivibile a una sorta di minorità antropologica, o anche soltanto culturale, si riterrebbe ottimale una soluzione di centralismo statale che, tuttavia, non trova riscontro in nessun altro assetto statuale europeo al contrario connotati da dinamiche diametralmente opposte di tipo disaggregativo (basti pensare al Regno Unito, alla Spagna e alla stessa Francia). Il “fallimento dell’autonomia” , in tal guisa, ne giustificherebbe non la riforma, il ripensamento con l’adozione di modelli innovativi, ma la semplice soppressione, formalizzando quella equiparazione al ribasso che il “bradisismo costituzionale” italiano ha determinato tra enunciazioni formali di rafforzamento (emblematica la riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione) e prassi interpretative, suffragate soprattutto dalla lettura fattane dalla Corte costituzionale, oltre che dal self-restraint delle stesse Regioni speciali, o quantomeno, di quello delle più deboli tra queste. Tale tendenza ha frastagliato ancor di più il variegato scenario del regionalismo italiano che le contrastate vicende del c.d. “federalismo fiscale” (l. n. 42 del 2009 e s.m.i. e la complessa normativa di attuazione), rimasto irrisolto nella sua geometria e nella parziale attuazione, hanno accentuato…

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