Scorta Biagi: Scajola e De Gennaro indagati

Scorta Biagi: Scajola e De Gennaro indagati
26 febbraio 2015

Ancora un’altra bufera per l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro che risultano indagati per concorso in omicidio colposo nell’ambito dell’inchiesta bis sulla mancata scorta al giuslavorista  Marco Biagi “sulla base di omissioni e manchevolezze nel quadro della protezione del professor Biagi, che sono state riscontrate dal lavoro d’indagine preciso e corposo fatto dalla Procura di Bologn”. È quanto spiega l’avvocato della famiglia Biagi, Guido Magnisi, che ha ricevuto l’atto di notifica dell’iscrizione al registro degli indagati riguardante Scajola e De Gennaro. “La Procura trasmetterà ora gli atti ad una sezione del Tribunale speciale, che la Corte Costituzionale prevede come anticamera del Tribunale dei ministri” prosegue Magnisi, spiegando che il passo successivo sarà “un interrogatorio” a carico dei due indagati i quali “potranno avvalersi o meno della prescrizione”. “Se si avvarranno le prescrizione – rimarca l’avvocato – la vicenda si chiuderà, altrimenti se rinunceranno alla prescrizione, ci sarà il processo che andrà al Tribunale dei ministri di Roma” poiché all’epoca dell’omicidio Biagi per mano delle nuove Br, il 19 marzo 2002, Scajola era a capo del Viminale. L’inchiesta bis, di cui è titolare il Pm Antonello Gustapane, prese avvio dal rinvenimento di alcuni documenti in possesso di Luciano Zocchi, ex segretario di Scajola, riaprendo il filone d’indagine dopo l’archiviazione della prima inchiesta. Nell’ambito dell’indagine il pm Gustapane ha sentito, nei mesi scorsi, come persone informate sui fatti, alcuni esponenti di spicco della politica di allora e di oggi tra cui Pier Ferdinando Casini, Roberto Maroni, Maurizio Sacconi, Sergio Cofferati e lo stesso Zocchi.

 L’OMICIDIO La sera del 19 marzo 2002 sono da poco passate le ore 20 quando, il professor Biagi a bordo della sua bici, ha appena percorso il tratto di strada che separa la sua abitazione di via Valdonica dalla Stazione dove, poco prima, è sceso dal treno che da Modena (dove è docente alla facoltà di Economia) lo riporta ogni sera a Bologna. Sceso dal treno, chiama la moglie e avverte che sta per arrivare, poi inforca la bicicletta e s’incammina verso casa. Di sentinella alla Stazione e lungo la strada che porta al suo domicilio ci sono già due terroristi che seguono i suoi movimenti, avvertendo gli altri complici dei progressivi spostamenti dell’obiettivo. Alle 20:07 un commando formato da altri tre brigatisti, due a bordo di un motorino ed un terzo (la staffetta) a piedi, lo aspetta di fronte al portone della sua abitazione, al civico 14. I due terroristi che si fanno incontro al professore, e che indossano caschi integrali, aprono il fuoco esplodendo sei colpi in rapida successione in direzione di Biagi, per poi allontanarsi molto velocemente. Alle 20:15, Biagi muore tra le braccia degli operatori del 118 che sono accorsi sul posto. L’arma utilizzata nell’azione, si scoprì dopo, risultò essere la stessa del delitto D’Antona. Nel compiere l’agguato, i brigatisti vennero agevolati soprattutto dal fatto che Biagi girava senza protezione dopo che, qualche mese prima, gli era stata revocata la scorta, come ebbe a testimoniare anche Cinzia Banelli, la terrorista pentita che, al processo per l’uccisione del giuslavorista, raccontò proprio che “Se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti ad ucciderlo. Per noi due persone armate costituivano già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco. Avremmo dovuto fare più attenzione, osservare possibili cambiamenti nella situazione del professore. Dovevamo controllare che non fosse solo. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo”.

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IL PROCESSO Nel processo di primo grado, il 1º giugno 2005, la Corte d’Assise di Bologna, dopo ventidue ore di camera di consiglio, condanna a cinque ergastoli altrettanti componenti delle Nuove BR: Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Boccaccini. Il 6 dicembre 2006, la Corte d’assise d’appello, conferma in secondo grado l’ergastolo per Diana Blefari Melazzi, Roberto Morandi, Nadia Desdemona Lioce e Marco Mezzasalma, riducendo a 21 anni di reclusione la condanna per Simone Boccaccini, riconoscendogli le attenuanti generiche. Nel terzo ed ultimo grado di giudizio, l’8 dicembre 2007, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione di Roma, conferma il verdetto emesso in secondo grado rendendo definitive le condanne ai cinque brigatisti responsabili, tranne che per Nadia Desdemona Lioce, la quale non aveva presentato ricorso in cassazione.

LA SCORTA Prima di morire, Marco Biagi aveva scritto cinque lettere in cui si diceva preoccupato per le minacce che riceveva. Il testo delle lettere, indirizzate al presidente della camera Pier Ferdinando Casini, al ministro del lavoro Roberto Maroni, al sottosegretario al lavoro Maurizio Sacconi, al prefetto di Bologna ed al direttore generale di Confindustria Stefano Parisi è stato pubblicato dal quindicinale Zero in condotta e poi riportato da Repubblica. In tali lettere spiegava anche che la sua preoccupazione era causata dal fatto che i suoi avversari (Sergio Cofferati in primo luogo), criminalizzavano la sua figura. Biagi sostiene inoltre che una persona attendibile gli ha riferito che Cofferati lo aveva minacciato. Il Ministero dell’Interno, in quel periodo diretto da Claudio Scajola, solo pochi mesi prima dell’attentato, aveva privato Marco Biagi della scorta, da lui richiesta proprio per timore di attentati da parte di componenti appartenenti all’estremismo di sinistra. Una volta tolta, Biagi, tramite lettere scritte a diverse personalità politiche, ne fece nuovamente richiesta visto anche il perdurare delle minacce ricevute, ma questa non gli fu accordata. I brigatisti stessi ammisero che avevano deciso di colpire proprio Biagi in quanto poco protetto. Il 30 giugno 2002, viene pubblicata una chiacchierata tra l’allora Ministro dell’Interno, Claudio Scajola, ed alcuni giornalisti che seguono il ministro in visita ufficiale a Cipro.

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“A Bologna hanno colpito Biagi che era senza protezione ma se lì ci fosse stata la scorta i morti sarebbero stati tre. E poi vi chiedo: nella trattativa di queste settimane sull’articolo 18 quante persone dovremmo proteggere? Praticamente tutte”. E a questo punto il ministro sorprende i presenti quando gli viene detto che Biagi era comunque una figura centrale nel dialogo sociale: protagonista del patto di Milano, coautore del Libro Bianco, consulente del ministero del Welfare, della Cisl, della Confindustria. C’è un attimo di silenzio, Scajola volta le spalle, si blocca, azzarda: “Non fatemi parlare. Figura centrale Biagi? Fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza.” A causa delle polemiche suscitate da queste affermazioni, il 3 luglio 2002, Scajola rassegnò le sue dimissioni, al suo posto venne nominato Giuseppe Pisanu. Nel mese di maggio 2014 la procura di Bologna ha riaperto l’inchiesta formulando l’iopotesi di reato di omicidio per omissione dopo aver ricevuto gli atti dalla procura di Roma che sta passando al vaglio le carte trovate durante la perquisizione nella casa di Luciano Zocchi ex capo della segreteria dell’allora Ministro dell’Interno Claudio Scajola

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