Senato approva ddl tortura, ora tocca alla Camera. Cosa dice la norma

Senato approva ddl tortura, ora tocca alla Camera. Cosa dice la norma
17 maggio 2017

Con 195 voti a favore, 8 contrari e 34 astenuti, l’aula del Senato ha approvato la legge che introduce nel codice penale del reato di tortura, che ora passa alla Camera per una quarta lettura, con l’obiettivo del disco verde definitivo entro la fine della legislatura. L’introduzione del nuovo reato di tortura era stata già approvata la prima volta dal Senato – dove l’iter legislativo era iniziato – oltre tre anni fa: il 5 marzo del 2014. È quindi passato alla Camera che, dopo oltre un anno, lo ha modificato una prima volta rimandandolo al Senato il 9 aprile del 2015. Palazzo Madama, dopo quasi altri due anni, lo ha nuovamente modificato ritrasmettendolo ora alla Camera per una quarta lettura, con l’auspicio di un via libera definitivo entro la fine della legislatura. Il testo si compone di due articoli, che introducono la tortura nel codice penale con gli articoli 613 bis e 613 ter e che attribuiscono alla fattispecie dignità e disciplina autonome di reato anzichè profilare il fatto come aggravante di altri reati. La nuova legge prevede per chi commette tortura molti anni di carcere – si può giungere fino all’ergastolo per morte dolosa del torturato – e prevede inoltre aggravanti se a commettere o istigare la tortura è un pubblico ufficiale. Sancisce quindi la totale inutilizzabilità a ogni fine di informazioni e dichiarazioni rese sotto tortura, se non come fonti di prova per la responsabilità del torturatore.

FINO A 10 ANNI DI RECLUSIONE – Il nuovo reato di tortura approvato dal Senato conferma l’innalzamento a 4 anni di reclusione della pena minima e in 10 anni il limite massimo per chiunque, “con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell`appartenenza etnica, dell`orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”. Nel passaggio al Senato si aggiunge, con l’intenzione di meglio delineare la tracciabilità del reato di tortura, la precisazione “se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

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FINO A 15 ANNI RECLUSIONE – Se Il reato di tortura viene commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o da un incaricato di un pubblico servizio nell’esecuzione del servizio, la pena della reclusione è da cinque a dodici anni.

PENA AGGRAVATA – Se dalla tortura deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dalla tortura deriva la morte quale conseguenza non voluta dal torturatore la pena della reclusione di trent’anni. Ma se il torturatore cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

INUTILIZZABILI INFORMAZIONI -Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto al solo fine di provarne la responsabilità penale.

NON C’E’ TORTURA – La legge esclude infine la fattispecie del reato di tortura (è un’ulteriore modifica introdotta nel passaggio al Senato, frutto di un’accordo di maggioranza) nel caso di pubblici ufficiali che procurino “sofferenze risultati unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”.

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