Senza “quirinarie”, stavolta M5S aspetta un nome dal Partito democratico

14 gennaio 2015

Sarà una assemblea congiunta di deputati e senatori M5S, probabilmente la prossima settimana, a definire il percorso dei “grillini” nell’elezione del successore di Giorgio Napolitano. Ma stavolta l’appello al popolo e le manifestazioni inscenate a Montecitorio a favore del giurista Stefano Rodotà non si ripeteranno. La “rete” (gli iscritti al portale Beppegrillo.it) non potrà pronunciarsi a ruota libera, come nella prima edizione delle “quirinarie”. Le ipotesi sono due: potrebbe essere fatta dai gruppi parlamentari una rosa di nomi da sottoporre agli attivisti, oppure, ed è l’ipotesi più accreditata al momento, nessuna consultazione on line fino a quando non saranno il Pd e la maggioranza a indicare un candidato “digeribile”.

veltroniLa decisione è stata presa di fatto da un paio di mesi, Beppe Grillo l’ha lasciata trapelare il 18 dicembre scorso evocando il “metodo Sciarra”, usato per l’elezione alla Consulta della giuslavorista appulo-fiorentina: “Noi alla fine facciamo scegliere la rete, ma se lo sceglie un’altra persona, un’altra forza alla fine va bene”. Nel movimento si confrontano due opzioni: quella di chi in Parlamento dice che collaborare alla scelta di presidente serve solo a esporre M5S al giudizio negativo degli elettori: “Se l’eletto farà qualche porcheria daranno la colpa a noi”, spiega un deputato che ci tiene a rimanere anonimo. Preoccupazione che, dicono a Montecitorio, è condivisa da Grillo. Ma c’è anche chi punta al bersaglio grosso: far saltare il patto del Nazareno offrendo i voti M5S per un presidente sgradito a Berlusconi, qualora venisse fuori un nome.
Tendenza minoritaria nei gruppi parlamentari, ma alla quale, racconta un grillino “ortodosso”, non è insensibile lo stratega Gianroberto Casaleggio.

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“Dubito che ci vogliano coinvolgere in una discussione trasparente – spiega l’ex capogruppo alla Camera Giuseppe Brescia – ma stavolta più che dei nomi potremmo decidere di indicare un profilo, un garante della Costituzione”. Ivan Della Valle, deputato piemontese non in prima fila sulle questioni istituzionali, si limita a dire che “l’intenzione reale di fare i conti con noi ci sarà solo se si vedrà che i nostri voti servono davvero, come sulla Corte”.

“Non facciamo nomi né strategie – avverte Danilo Toninelli, che in passato ha avuto un ruolo di primo piano nella pratica Consulta-Csm – sarebbe inutile. Diciamo quello che non vogliamo: non vogliamo gente con una storia solo di partito. Uno come Mattarella, per esempio, sarebbe un segnale di continuità. E nemmeno tutti i profili esterni vanno bene: un Cassese sarebbe pessimo”. E il no, racconta un’altra fonte, arriverebbe “senza esitazioni” anche nel caso di una candidatura di Walter Veltroni (foto), “mentre su Prodi e perfino su Bersani si potrebbe arrivare a ragionare, anche se per ora sono scenari molto improbabili”.

Spiazzata l’area dei “dissidenti”: dopo la stagione delle uscite con il contagocce, alternate alle espulsioni, potenzialmente ci sono ancora una decina almeno di parlamentari pronti a uscire da M5S e ad offrire i loro voti alla maggioranza, insieme a quelli degli altri transfughi. “Ma si pensava di avere un po’ più di temop, e adesso bisogna vedere bene cosa si può fare. Il rischio è arrivare quando i giochi sono già fatti e i nostri voti non servono”, dice uno di quelli che sta ancora “dentro” ma ha il cuore già fuori.

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