Sessions, Pompeo, Flynn: i falchi al comando con Trump

Sessions, Pompeo, Flynn: i falchi al comando con Trump
19 novembre 2016

Jeff Sessions, Mike Pompeo, Michael Flynn (foto). Le nomine annunciate ufficialmente dallo staff del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, premiano i falchi repubblicani e i fedelissimi del miliardario, spegnendo sul nascere le speranze dei democratici di vedere un Trump più moderato, una volta finita la campagna elettorale ed entrato alla Casa Bianca. Nell’ordine, i tre sono il nuovo segretario alla Giustizia, il prossimo direttore della Cia e il futuro consigliere per la sicurezza nazionale. Figure su cui già non mancano le critiche, ben sostenute dai fatti: Sessions fu bocciato come giudice federale perché razzista, Pompeo sostiene che il centro di detenzione di Guantanamo è legale e non deve essere chiuso, che la sorveglianza di massa è necessaria e che Edward Snowden dovrebbe essere condannato a morte, mentre Flynn considera l’Islam “un cancro”.

JEFF SESSIONS Il senatore dell’Alabama Jefferson Beauregard “Jeff” Sessions III, classe 1946, è stato scelto da Donald Trump come prossimo ministro della Giustizia. Prima di entrare in Congresso con il partito repubblicano nel 1997, Sessions è stato un pubblico ministero, scelto nel 1986 dall’allora presidente Ronald Reagan per il ruolo di giudice federale, ma la sua nomina fu respinta dalla commissione Giustizia del Senato (controllata dai repubblicani) perché accusato di razzismo, facendone il secondo giudice in 50 anni nominato dal presidente ma non confermato dal Congresso. In diverse testimonianze davanti alla commissione, alcuni colleghi di Sessions dissero che definì la National Association for the Advancement of the Colored People, la Southern Christian Leadership Conference e altri gruppi che si battono per i diritti delle minoranze come “anti-americani” e “ispirati dal comunismo”. Un collega afroamericano, inoltre, testimoniò di aver sentito dire a Sessions che “il Ku Klux Klan andava bene”, finché non ha scoperto che c’erano nel gruppo molti “fumatori di marijuana”; Sessions si è sempre difeso, definendola una battuta. Il rappresentante dell’Alabama, il primo senatore a sostenere la candidatura di Trump, è diventato uno dei principali consiglieri del presidente eletto nel corso della campagna elettorale.
Secondo i media statunitensi, Sessions era stato considerato anche come possibile segretario alla Difesa.

Il senatore è noto anche per la sua linea dura sull’immigrazione: è il presidente della sottocommissione apposita del Senato e ha sempre sostenuto che solo Trump potrebbe risolvere il problema dell’immigrazione illegale. Per la verità, il senatore si è sempre schierato anche contro l’immigrazione legale, sostenendo che va “moderata”. “L’immigrazione legale è la fonte primaria dell’immigrazione a basso costo negli Stati Uniti. Occorre rallentare il ritmo dei nuovi arrivi in modo da far salire i salari e diminuire il ricorso al welfare”, scrisse sul Washington Post nel 2015. L’anno prima, il National Review lo aveva definito “il peggior nemico dell’amnistia”, perché Sessions si era opposto a qualsiasi proposta di legge per regolarizzare gli immigrati presenti illegalmente. Sulla politica estera ha sempre avuto un approccio duro, votando una volta contro un emendamento per vietare “i trattamenti crudeli e disumani” dei prigionieri. È scettico sul cambiamento climatico e, nonostante la sua fama da ‘falco’, ha più volte collaborato in Congresso con i democratici. A proposito della sua nomina, il deputato democratico Luis Gutierrez ha commentato: “Se avete nostalgia dei giorni in cui i neri dovevano stare zitti, gli omosessuali restavano nascosti, gli immigrati erano invisibili e le donne stavano in cucina, il senatore Sessions è il vostro uomo”. Dubbi sulla nomina di Sessions sono stati già espressi dai senatori democratici Dianne Feinstein e Patrick Leahy, tra le voci più influenti in Aula.

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MIKE POMPEO Ex ufficiale dell’esercito, 52 anni, deputato al terzo mandato alla Camera in rappresentanza del Kansas e membro della Commissione d’intelligence, ha origini italiane ed è voce del Tea Party. Mike Pompeo è un ‘falco’, uno dei tanti che faranno parte della prossima amministrazione di Donald Trump, il presidente eletto degli Stati Uniti, che lo ha scelto come prossimo direttore della Cia. A livello nazionale, si è fatto conoscere come membro della Commissione della Camera sull’attacco di Bengasi, in Libia, nel 2012, in cui morirono l’ambasciatore Christopher Stevens e altri tre cittadini statunitensi. Un attacco per cui i repubblicani continuano ad accusare l’allora segretario di Stato, Hillary Clinton, di cui Pompeo è un feroce critico. Pompeo aveva inizialmente sostenuto la candidatura di Marco Rubio alle primarie; più tardi, ha avuto un ruolo centrale nel preparare il futuro vicepresidente, Mike Pence, per il dibattito contro il democratico Tim Kaine, vice di Clinton alle elezioni. Grande sostenitore del Patriot Act, la legge voluta per espandere il potere dei corpi di polizia e di spionaggio, ha appoggiato per ragioni di sicurezza nazionale la raccolta indiscriminata di dati da parte della National Security Agency, la cui rete di sorveglianza è stata svelata da Edward Snowden; di Snowden, ha detto che “dovrebbe essere condannato a morte”.

Pompeo è stato molto critico nei confronti dell’amministrazione Obama per l’accordo sul nucleare iraniano ed è stato spesso criticato per la sua retorica contro i musulmani: nel 2013, disse in Aula che i leader islamici che non avevano condannato apertamente l’attentato alla Maratona di Boston dovevano essere considerati “potenzialmente complici” degli attentatori e degli eventuali futuri attacchi. Pompeo si oppone alla riforma sanitaria voluta dal presidente Barack Obama, è membro della National Rifle Association, la lobby delle armi, è contrario alla chiusura del centro di detenzione di Guantanamo e ai provvedimenti che regolano l’emissione di gas serra. Presbiteriano, è contro l’aborto, che dovrebbe essere consentito solo se la vita della donna incinta fosse a rischio, e reso illegale in caso di stupro o incesto. Ha forti legami con le Koch Industries dei fratelli Koch, tra i principali finanziatori del partito repubblicano, che contribuirono alla sua elezione nel 2010 e che da allora lo hanno sempre sostenuto. Per l’American Civil Liberties Union (Aclu), viste le sue posizioni su Guantanamo e sorveglianza di massa, la nomina di Pompeo “solleva serie preoccupazioni sulla privacy e sul giusto processo”. Se la sua nomina sarà confermata dal Senato, guiderà un’agenzia con 21.500 dipendenti e un budget annuale di 15 miliardi di dollari. “Il Tea Party ora controlla i droni”, ha sinteticamente commentato una fonte governativa al Daily Beast.

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MICHAEL FLYNN  Michael Flynn sarà il prossimo consigliere per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti. Il generale dell’esercito in pensione, 57 anni, ha accettato l’incarico che gli è stato offerto da Donald Trump; in passato ha guidato la Defense Intelligence Agency sotto Barack Obama ed è stato molto critico nei confronti della sua amministrazione sulla guerra contro l’Isis. In un comunicato diffuso dallo staff di Trump, si legge che il presidente eletto vuole lavorare con Flynn “per sconfiggere il terrorismo islamico radicale e tenere gli americani al sicuro a casa e all’estero. Il generale è uno dei maggiori esperti di questioni militari e d’intelligence e sarà una risorsa inestimabile per me e la mia amministrazione”. Flynn si è detto “profondamente onorato di accettare l’incarico e di servire il nostro Paese e il nostro prossimo presidente”. Per mesi, Flynn ha aiutato il presidente eletto degli Stati Uniti a colmare le sue lacune in politica estera e nel settore della sicurezza nazionale. Per i media statunitensi, era stato anche tra i nomi presi in considerazione per il ruolo di vicepresidente degli Stati Uniti. Cresciuto in una famiglia “molto democratica”, Flynn è registrato come elettore democratico ed è favorevole all’aborto.

Durante la prima notte della convention repubblicana di quest’anno, è stato uno degli oratori principali e più convincenti, affermando che la minaccia posta dall’Isis deve essere contrastata con un’azione più aggressiva delle forze militari statunitensi e che Washington dovrebbe collaborare di più con la Russia. Proprio la sua vicinanza alla Russia lo ha esposto a critiche in patria: Flynn è apparso regolarmente sulla televisione di Stato in lingua inglese Russia Today e una volta ha partecipato a un gala della tv, sedendo a due posti dal presidente Vladimir Putin. A febbraio, il generale ha scritto su Twitter che “la paura nei confronti dei musulmani è razionale”; una frase che non stupisce, visto che è stato costretto a lasciare la guida della Defense Intelligence Agency, nel 2014, perché era l’unico a considerare gli Stati Uniti meno al sicuro di quanto fossero prima degli attacchi dell’11 Settembre, e che è convinto che la sharia (la legge islamica) si stia diffondendo negli Stati Uniti. Come consigliere, secondo il New York Times, avrebbe convinto Trump che gli Stati Uniti stanno combattendo una “guerra mondiale” contro i militanti islamici. In passato, come testimoniato da un video su un suo intervento diffuso oggi da Right Wing Watch, Flynn disse che “l’Islam è un’ideologia politica e si nasconde dietro la nozione di religione. È come un cancro. Io ho affrontato il cancro in vita mia. È come un tumore maligno, in questo caso. Ha metastatizzato”.

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Per il suo incarico, non serve il via libera del Senato. Si sono già alzate voci critiche contro di lui, tra cui quella dello Human Right Watch, secondo cui Flynn avrebbe mostrato “un profondo disprezzo per i diritti umani e le leggi di guerra”. I dubbi sulla sua figura, però, sono anche di altro tipo: secondo il reporter Michael Isikoff, Flynn avrebbe cominciato a ricevere informazioni classificate relative alla sicurezza nazionale statunitense la scorsa estate, come membro della squadra di Trump, continuando a gestire la propria società di consulenza, la Flynn Intel Group, con cui offre servizi d’intelligence a clienti stranieri; tra questi, ci sarebbe anche un’azienda di un facoltoso uomo d’affari turco, molto vicino al presidente Recep Tayyip Erdogan, che avrebbe pagato “decine di migliaia di dollari” per le analisi della società, secondo quanto ammesso dallo stesso imprenditore, Kamil Ekim Alptekin, al sito The Intercept. Il giorno delle elezioni, Flynn ha scritto un articolo per The Hill in cui chiedeva agli Stati Uniti di sostenere Erdogan e di consegnare alle autorità turche Fethullah Gulen, il predicatore accusato dal presidente per il tentato golpe, che risiede da molti anni in Pennsylvania, da dove guida il movimento conosciuto come Hizmet.

 

 

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