Sì definitivo del Senato, class action è legge. Scontro M5S-Forza Italia

Sì definitivo del Senato, class action è legge. Scontro M5S-Forza Italia
Senato
4 aprile 2019

Il Senato ha approvato a larghissima maggioranza il ddl di riforma della class action che sposta la disciplina dell’azione collettiva dal codice del consumo a quello di procedura civile, generando uno strumento di portata più ampia. I voti a favore sono stati 206, gli astenuti 44 e un solo voto contrario, quello del senatore di Fi Gaetano Quagliariello che ha votato ‘no’ in dissenso dal proprio gruppo che si è astenuto. Sul provvedimento infatti si è aperto scontro fra M5S e Forza Italia, con i pentastellati che rivendicano come una propria vittoria l’aver riformato la vecchia azione di classe del 2006. Grande soddisfazione è stata manifestata dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che nella scorsa Legislatura aveva proposto un testo simile.

“Finalmente i cittadini italiani hanno uno strumento per unirsi e far valere insieme i propri diritti. Finalmente la giustizia in Italia è al servizio dei cittadini onesti”, ha commentato. Anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, parla di “strumento efficace per far valere i propri diritti. Ora – ha sottolineato – i cittadini saranno più forti e potranno difendersi dai comportamenti scorretti di gruppi di potere, lobby e aziende senza scrupoli”. Compatti tutti i senatori pentastellati a rivendicare la vittoria. Alessandra Riccardi, capogruppo in commissione Giustizia di palazzo Madama, ha commentato: “L’approvazione della nuova class action è una vittoria del Movimento 5 Stelle e di tutta l’Italia. Da oggi i cittadini hanno a disposizione uno strumento efficace per far valere i propri diritti nei confronti delle imprese che si comportano in modo scorretto”.

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Forza Italia è andata invece all’attacco, annunciando l’astensione dal voto. Per i senatori azzurri si tratta di una “brutta legge fatta male e promossa peggio che porterà ulteriore confusione e danni al Paese”. Un “testo pasticciato scritto guardando a una sola delle parti in causa, quella dei consumatori, quasi che le imprese siano considerate sempre in malafede e quindi non meritevoli di tutela e da penalizzare”. Il testo – simile a quello proposto da Bonafede e il cui iter di approvazione si era poi bloccato – contiene diverse novità. Dallo spostamento della disciplina al codice di procedura civile, all’ampliamento delle situazioni giuridiche tutelate, fino al passaggio di competenza alla sezione specializzata in materia d’impresa dei tribunali.

COME FUNZIONA LA NORMA

Via libera alla riforma della class action. Introdotta con un decreto legislativo del 2005, dopo 14 anni viene sottoposta a un restyling che prevede lo spostamento dal codice del consumo, dove si trovava fino a oggi, al codice di procedura civile. Il Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge, che era approdato in parlamento (alla Camera) a giugno dello scorso anno. L’azione di classe diventa così uno strumento di più ampia applicazione e portata, con il nuovo titolo ‘Dei procedimenti collettivi’. L’azione sarà sempre esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie in relazione a lesioni di ”diritti individuali omogenei” (ma non ad “interessi collettivi”). Sarà quindi nella titolarità di ciascun componente della ‘classe’, nonché delle organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro che hanno come scopo la tutela dei suddetti diritti, e che sono iscritte in un elenco tenuto dal ministero della Giustizia. Viene inoltre ampliato l’ambito di applicazione oggettivo dell’azione, che potrà essere chiamato in causa in tutte le situazioni di tutela soggettiva, a fronte di condotte lesive, per l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

I destinatari dell’azione di classe sono: imprese ed enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle attività. La domanda si propone con ricorso e al procedimento si applica il rito sommario di cognizione. Non può essere disposto in nessun caso il mutamento del rito. Per garantire idonea pubblicità alla procedura, il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere pubblicato su un apposito portale del ministero della Giustizia. La riforma fissa in 30 giorni il termine entro il quale il tribunale deve decidere sull’ammissibilità dell’azione e la decisione assume la forma dell’ordinanza; anch’essa va pubblicata entro 15 giorni sul citato portale. Il tribunale può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo.

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Quanto all’istruzione della causa, il giudice civile potrà applicare sanzioni amministrative pecuniarie (da 10.000 a 100.000 euro) sia alla parte che rifiuta senza giustificato motivo di esibire le prove, sia alla parte o al terzo che distrugge prove rilevanti ai fini del giudizio; la sanzione è devoluta alla Cassa delle ammende. La sentenza stabilisce la responsabilità, definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l’inserimento nella classe, individuando la documentazione che dovrà essere prodotta dagli aderenti. Il tribunale, inoltre, provvede in ordine alle domande risarcitorie e restitutorie solo se l’azione è proposta da un soggetto diverso da un’organizzazione o da un’associazione. Con la sentenza, che determina l’importo che ogni aderente deve versare a titolo di fondo spese, vengono inoltre nominati: un giudice delegato, per gestire la procedura di adesione (e decidere sulle liquidazioni), un rappresentante comune degli aderenti (che deve avere i requisiti per la nomina a curatore fallimentare).

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