Sicilia, la burocrazia da 4 anni blocca un progetto

Sicilia, la burocrazia da 4 anni blocca un progetto
19 febbraio 2018

Un investimento da 25 milioni di euro e un indotto lavorativo, tra diretto ed indiretto, di circa 100 persone. Una grande opportunità economica e occupazionale per il territorio di Agira e l’intera regione siciliana , rischia di essere vanificata dalla burocrazia, una giungla di codici e norme che rendono in Italia irrealizzabile ogni opera. Fassa Bortolo, azienda trevigiana leader in Italia nel settore dei prodotti e soluzioni per l’edilizia, ha deciso di investire in Sicilia da oltre quattro anni e mezzo e tuttora sta aspettando il via libera al progetto di riapertura della cava di calcare e minerali associati nella località S. Nicolella del comune di Agira (Enna). Il sito interessato è una cava dismessa circa 30 anni fa, chiusa e abbandonata senza alcun recupero ambientale, che ha dato luogo nel tempo ad un’ area degradata. Il sito estrattivo, che è inserito nel vigente Piano Regionale delle Attività Estrattive, è elemento fondamentale del progetto industriale perché da esso verrà estratta la materia prima calcarea destinata allo stabilimento produttivo che verrà realizzato in prossimità e sempre nel comune di Agira. L’azienda trevigiana ha ottemperato fin da subito a tutte le richieste degli enti competenti passando attraverso fasi concertative, accordi, confronti e dibattiti con i portatori di interessi, dal Comune di Agira, al Distretto Minerario di Caltanissetta, all’Assessorato Regionale territorio ed Ambiente di Palermo, all’Assessorato Regionale delle Attività Produttive, al Corpo Forestale di Enna, al Servizio Geologico Regionale, alla Soprintendenza di Enna. Manca soltanto il tassello finale di questo tentacolare iter burocratico: l’ultimo parere paesaggistico della Soprintendenza, che permetterebbe quindi al distretto Minerario di Caltanissetta di concludere l’iter autorizzativo. Uno stallo dovuto al fatto che una modesta parte dell’area interessata al progetto risulta essere “d’interesse archeologico”.

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La Soprintendenza aveva chiesto infatti una verifica preliminare, svolta su incarico della stessa azienda da una ditta specializzata locale, da cui sono stati ritrovati alcuni reperti poco significativi. Il progetto di Fassa Bortolo, oltre alla nascita di un nuovo stabilimento con una ricaduta significativa in termini occupazionali consentirebbe anche un recupero ambientale, paesaggistico e morfologico dell’area di cava. Del resto l’impresa trevigiana fin dall’inizio si è resa disponibile a delocalizzare i reperti archeologici trovati e fare delle strutture in grado di valorizzarli. “Sono profondamente amareggiato di questa situazione, – dichiara il titolare dell’azienda omonima Paolo Fassa – è dal 2013 che aspettiamo. Noi siamo disposti a investire in questa Regione, ad assumere lavoratori ma ce lo impediscono. O meglio la burocrazia lo impedisce. Questa assurda babele di norme che trasforma l’entusiasmo e la voglia di lavorare in una odissea senza fine. La burocrazia in Italia è organizzata in modo tale che la colpa alla fine non ricade mai su nessuno. Così poi finisce che i giovani non hanno più lavoro o sono obbligati ad espatriare. Quando con i miei tecnici venimmo a presentare all’allora presidente dell’Assemblea regionale il progetto, nonostante l’appuntamento concordato ci fece aspettare quasi cinque ore prima di riceverci. Forse era un segnale delle difficoltà che poi avremmo trovato. Eppure penso che questa regione abbia sicuramente necessità di investimenti e nuovi insediamenti produttivi in grado di attrarre economia e lavoro. Forse qualcuno invece la pensa al contrario, mi appello a questo punto alle Istituzioni, al Ministero dello Sviluppo Economico e al suo Titolare, Carlo Calenda, all’associazione degli Industriali siciliani, nonché alle associazioni sindacali”. “Se la situazione non si sblocca in tempi rapidissimi , – continua Paolo Fassa- apriremo un contenzioso con le istituzioni Lasceremo sull’isola solo gli avvocati, rinunciando all’intero progetto. Una soluzione che mi addolora perché penso da sempre che lavorare nel proprio paese è l’unico modo per far cambiare davvero le cose. Ma questo i signori della burocrazia non vogliono capirlo”.

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