Sovranisti e populisti, la solitudine degli italiani eletti all’Europarlamento

Sovranisti e populisti, la solitudine degli italiani eletti all’Europarlamento
L'europarlamento
6 giugno 2019

Dovevano essere, sia secondo la narrazione leghista che secondo quella pentastellata, le elezioni europee della svolta, una svolta sovranista (“meno Europa”) o populista (“Europa del popolo e non più dell’establishment”). Invece, il risultato del voto – deludente per i Cinquestelle (17,7% e 14 eletti, 3 in meno del 2014) e trionfale per la Lega (34,3% e 28 eletti, 23 in più del 2014) – ha consegnato gli eurodeputati della maggioranza di governo italiano a una condizione di rumorosa solitudine: si vorrebbero determinanti, o almeno influenti, nella nuova legislatura; e invece sembra proprio tutto quel promettere grandi svolte sia stato molto clamore per nulla.

Perché da una parte la Lega non è ancora riuscita a convincere tutte le formazioni della destra nazional-sovranista a lasciare i loro attuali rispettivi gruppi politici per formare il “supergruppo” prospettato da Matteo Salvini (l’Alleanza europea dei popoli e delle nazioni); dall’altra, gli eurodeputati del M5s sembrano vagare come personaggi in cerca d’autore, dopo il totale fallimento del nuovo gruppo vagheggiato prima delle elezioni da Luigi Di Maio, per mancanza di eletti dei partiti, promessi alleati, negli altri paesi. E non è finita qui: persino gli eletti di Forza Italia, reduci da un deludente 8,79% (6 seggi, 7 in meno del 2014), appaiono, se non più soli, certamente meno influenti di cinque anni fa; tanto che ieri, alle elezioni alle cariche interne, non hanno preso neanche un vicepresidente del gruppo Ppe (Massimiliano Salini, che era candidato, si è ritirato prima del voto).

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Per non parlare della perdita per Forza Italia, pressoché certa, dello stesso presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, nonostante la sua ricandidatura. Per Tajani, comunque, si prospetterebbe la presidenza di una commissione europarlamentare importante, e questo spiegherebbe il passo indietro di Salini. Lo sforzo della Lega di formare il supergruppo sovranista si è infranto, finora, contro il rifiuto di aderirvi da parte di tre partiti nazionali numericamente importanti. Innanzitutto i polacchi del Pis (26 seggi) che preferiscono restare comodamente nel gruppo conservatore e riformista Ecr, dove ormai sono dominanti, dopo la disfatta dei Conservatori britannici. Poi i 13 eletti di Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orban, che nonostante l’amicizia con Salvini e la sospensione subita dal Ppe prima delle elezioni, preferisce restare con i Popolari piuttosto che fuori dai giochi in un gruppo marginalizzato all’estrema destra.

I 29 eletti del Brexit Party di Nigel Farage, infine, hanno subito escluso di voler sciogliere il loro gruppo Efdd (in cui per ora siede anche il M5s) per raggiungere la nuova formazione sovranista, dominata dalla Lega e dal Rn di Marine Le Pen. Il nuovo gruppo Aepn sarà comunque il quinto dell’Assemblea, con 73 eurodeputati (uno in mendo di Verdi); ma non è abbastanza per influenzare in modo determinante né la maggioranza assoluta che eleggerà il nuovo presidente della Commissione europea, né le diverse maggioranze che si formeranno di volta in volta nei negoziati sulla legislazione. Quanto al M5s, che per adesso resta nell’Efdd con Farage, il problema vero è che fare dopo la Brexit (sempre che avvenga davvero, un giorno). L’uscita di scena dei britannici e quindi del Brexit Party, provocherebbe la fine del gruppo Efdd, e il rischio per i 14 pentastellati di restare fra i paria dell’Europarlamento, i “non iscritti”, e avere dunque ancora meno influenza dei leghisti marginalizzati nell’estrema destra.

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Per scongiurare questa prospettiva, gli eletti pentastellati dovranno cercare un altro gruppo che li accolga. E non è facile. Il M5s ha rotto i ponti con i Liberali dell’Alde: prima con il tentativo, fallito miseramente, di entrare proprio in quel gruppo nel 2017, e poi con i ripetuti attacchi da parte di Di Maio alla Francia del presidente Emmanuel Macron e il maldestro tentativo di avvicinamento ai suoi arcinemici, i “gilet gialli”. E l’Alde, che presto cambierà nome, è il gruppo in cui siedono gli eurodeputati del Lrem di Macron. Né i pentastellati possono sperare, almeno per ora, in un’alleanza con i Verdi, nonostante le affinità riguardo ai temi ambientali e il fatto che i cinque anni trascorsi li abbiano visti votare quasi sempre allo stesso modo. Per il gruppo ecologista è semplicemente inconcepibile allearsi con gli alleati di Salvini. Inoltre, i Verdi considerano una farsa la pretesa “democrazia diretta” del M5s basata sulla piattaforma Russeau. Resterebbe il gruppo conservatore Ecr, ma al suo interno ci sono già degli italiani: i 5 eletti di Fdi, che il M5s lo vedono come il fumo negli occhi. askanews

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