Stagione stragista, non solo Cosa Nostra ma anche ‘ndrangheta calabrese

Stagione stragista, non solo Cosa Nostra ma anche ‘ndrangheta calabrese
26 luglio 2017

Non solo la mafia siciliana ha ideato e messo in piedi la stagione stragistica, ma anche la ‘ndrangheta calabrese ha fatto la sua parte. È questo il cuore dell’inchiesta che oggi ha portato la Dda di Reggio Calabria a far luce su una delle pagine più dolorose della storia italiana iniziata con l’attentato in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta. Con l’indagine odierna la Dda, guidata da Federico Cafiero De Raho, ha scoperchiato il progetto mafioso e terroristico, che ha colpito una delle istituzioni più amate, l’Arma dei Carabinieri. Un progetto messo in piedi da ‘ndrangheta e mafia siciliana, con l’inquietante collaborazione di pezzi dello Stato: la Procura di Reggio Calabria prova infatti, a riscrivere la storia d’Italia, partendo dagli attentati tre attentati compiuti in danno dei Carabinieri di Reggio Calabria, in cui persero la vita, il 18 gennaio 1994, gli Appuntati Antonino Fava Fava e Giuseppe Garofalo; rimasero gravemente feriti, l’1 febbraio 1994, l’Appuntato Bartolomeo Musicò e il Brigadiere Salvatore Serra e rimasero miracolosamente illesi, l’1 dicembre 1994, il Carabiniere Vincenzo Pasqua e l’Appuntato Silvio Ricciardo. Adesso gli autori hanno un volto. Secondo l’Antimafia dello Stretto i due i mandanti sarebbero il boss siciliano, Giuseppe Graviano, e Rocco Santo Filippone, uomo forte della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, con importanti collegamenti con la potente famiglia Piromalli. Omicidi e tentati omicidi che si inquadrano negli anni della strategia stragista portata avanti da Cosa Nostra, ma che ora vede anche la ‘ndrangheta grande protagonista: un progetto eversivo, che infatti spinge la Procura retta da Federico Cafiero De Raho a contestare anche l’aggravante terroristica, oltre a quella mafiosa.

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La Dda di Reggio Calabria ha ricostruito – attraverso l’apporto di nuovi e fondamentali elementi raccordati e collegati tra loro – le causali degli attentati ai carabinieri, ma, soprattutto, matrici e scopi sottesi a tali delitti, che vanno a collocarsi nel contesto della strategia stragista nei primi anni ’90 messa in atto dalle mafie, con il coinvolgimento oscuro e inquietante di schegge di istituzioni deviate, a loro volta collegate a settori della P2, ancora in cerca di rivincite nonostante l’ufficiale scioglimento nel 1982. Costanti e inquietanti infatti sono i riferimenti investigativi alla figura del Venerabile Licio Gelli. Tutti i delitti – ha svelato l’indagine coordinata dal procuratore Giuseppe Lombardo insieme al sostituto della Dna, Francesco Curcio – che si inscrivono in una strategia di attacco allo Stato, che dopo i brutali attentati costati la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha continuato a mietere vittime anche fuori dalla Sicilia. E non solo a Firenze, Roma e Milano. C’è stata una tappa calabrese nella strategia degli ‘attentati continentali’, concordata dai vertici delle mafie tutte. Un piano funzionale alla costruzione dello Stato dei clan. A oltre vent’anni di distanza dal brutale omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e dal ferimento rimasto senza perché dei loro quattro colleghi, si ricompone quindi oggi in un quadro inquietante quello che all’epoca fu considerato un delitto da criminali di quartiere. Per arrivarci, i magistrati hanno ascoltato centinaia di boss, ‘pentiti’ e non, hanno fatto sopralluoghi, cercato riscontri, incrociato informative.

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A spingere gli inquirenti, il procuratore Federico Cafiero De Raho, l’aggiunto Giuseppe Lombardo, il sostituto Antonio De Bernardo, nonché il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, e il sostituto della DNA, Francesco Curcio, sulla matrice unica e sul disegno volto in parte a destabilizzare e in parte a conservare lo status quo, una serie di caratteristiche comuni sui tre delitti, a cominciare dall’utilizzo dell’arma, un mitra M12. Si sarebbe trattato, dunque, di un progetto criminale, la cui ideazione e realizzazione sarebbe maturata non all’interno delle cosche di ‘ndrangheta, ma si sarebbe sviluppata attraverso la sinergia, la collaborazione e l’intesa di organizzazioni criminali, come Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Sul punto le indagini hanno evidenziato come la stessa idea di rivendicare con la sigla ‘Falange Armata’ le stragi mafiose e vari delitti compiuti dalle mafie sarebbe da far risalire a oscuri suggeritori appartenenti ai servizi segreti e, comunque, alla massoneria deviata. Il disegno terroristico mafioso era, dunque, servente rispetto ad una finalità ‘più alta’, che prevedeva la sostituzione di una vecchia ed inaffidabile classe politica con una nuova che fosse diretta espressione delle mafie, e, in quanto tale, proiettata a garantire e realizzare ‘i desiderata di Cosa Nostra’. Ad aprire squarci di luce agli inquirenti, un atto di impulso della Procura Nazionale Antimafia, che segnala alla Procura di Cafiero De Raho le dichiarazioni del collaboratore di giustizia siciliano, Gaspare Spatuzza, già capo mandamento di Brancaccio, il quale ha vissuto dall’interno ed in modo completo tutta la vicenda delle stragi del ’93 e del ’94, dai progetti condivisi ai momenti esecutivi.

Da qui il lavoro di raccolta delle dichiarazioni di altri pentiti – alcune in parte già note, altre riattualizzate – e la costruzione dell’impianto investigativo, inquietante e affascinante, quanto, secondo gli inquirenti, solido. E subito, davanti agli occhi dei magistrati, appare come la pista terroristica fosse coltivabile, ma, anche, fondata: pezzi importanti della ‘ndrangheta tirrenica – d’intesa con esponenti reggini – diedero assicurazione ai Corleonesi, rappresentati da Graviano – di aderire alla strategia terroristica di Cosa Nostra che, dopo le stragi continentali, doveva prendere di mira gli appartenenti alle forze dell’ordine e, in particolare, i Carabinieri. Tali componenti ‘ndranghetiste, a loro volta, delegarono i Filippone a presiedere all’organizzazione degli attacchi ai Carabinieri in terra calabrese. Quindi, i Filippone individuarono nel giovane Giuseppe Calabrò (nipote di Rocco Santo Filippone, poiché figlio della sorella Marina), l’uomo che doveva materialmente eseguire gli assalti, in quanto egli, dotato di una eccezionale preparazione militare ed una straordinaria dimestichezza con le armi, era privo di scrupoli ed ansioso di affermarsi in ambito criminale. Giuseppe Calabrò e Consolato Villani (già condannati definitivamente come autori materiali dell’omicidio di Fava e Garofalo) vennero poi aizzati a scatenare la strategia di attacco contro i Carabinieri dal defunto Demetrio Lo Giudice classe 1937, emissario della cosca Libri per il quartiere Reggio Campi di Reggio Calabria che fece crescere da un punto di vista militare e criminale Calabrò e che infine lo spinse ad eseguire i delitti oggi contestati; tale dato risulta coerente in relazione alla posizione assunta dalle cosche di ‘Ndrangheta di cui Filippone e Lo Giudice erano, all’epoca, eminenti rappresentanti (vale a dire quella dei Piromalli-Molè-Pesce, il primo e dei De Stefano-Libri-Tegano il secondo ) che, non a caso, erano le famiglie di ‘ndrangheta che, all’epoca, avevano manifestato maggiore apertura nell’appoggio a Cosa Nostra nella strategia stragista.

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Un soggetto importante, Filippone, la cui figura è stata per anni sottovalutata e, con ogni probabilità coperta, anche dalla magistratura calabrese. E’ lui l’uomo che salda i rapporti con Cosa Nostra: così dunque, si può affermare che mafia siciliana e ‘ndrangheta non siano unite solo da progetti di natura economica, ma anche da progetti di natura politica, attraverso spinte autonomistiche, non solo in Sicilia, ma, ancor prima, in Calabria. Un’indagine quindi su tre gravissimi fatti di sangue, tre complessi attentati alle istituzioni democratiche, che, quindi, apre scenari inquietanti almeno sugli ultimi 30 anni di storia d’italia: la ‘ndrangheta emerge non solo perché era in stretti rapporti con Cosa Nostra, ma in quanto risultava particolarmente inserita in quei rapporti con la destra eversiva e la massoneria occulta, proprio in quel periodo stragista in cui entrambe le organizzazioni (Cosa Nostra e ‘Ndrangheta) sostennero il disegno federalista attraverso le leghe meridionali. Sullo sfondo del patto stragista stretto da Cosa Nostra e ‘ndrangheta negli anni ’90 ‘appare chiara la presenza di suggeritori occulti da individuarsi in schegge di istituzioni deviate a loro volta collegate a settori del piduismo ancora in cerca di rivincita’, scrive la Dda di Reggio Calabria negli atti relativi all’inchiesta “ndrangheta stragista’. L’uccisione di due militari dell’Arma sull’autostrada A3 nel gennaio del 1994 ed il ferimento di altri militari sempre in Calabria, dunque, ‘vanno a collocarsi – scrivono i magistrati reggini – nel contesto della strategia stragista che ha insanguinato il Paese nei primi anni 90’ e in particolare in quella stagione definita delle ‘stragi continentali’.

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