Adeguamento pensioni, esclusi 14.600 ‘gravosi’

Adeguamento pensioni, esclusi 14.600 ‘gravosi’
23 novembre 2017

Primo adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita più morbido, esclusione dall’aumento della soglia di 14.600 lavoratori nel 2019, nuove norme sulla previdenza complementare di dipendenti della PA. Sono i tre punti principali del pacchetto di norme contenute nell’emendamento del governo alla manovra sulle pensioni che rispecchia le proposte presentate al tavolo con i sindacati. Per quanto riguarda l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita l’emendamento del governo interviene sui meccanismi prevsti dalla normativa vigente e derivanti dalla legge Fornero fissando dal 2021 uno scatto massimo biennale di tre mesi. Per il calcolo dell’adeguamento, poi, dal 2021 si guarderà alla media della speranza di vita nel biennio di riferimento rispetto a quella del biennio precedente” con “l’assorbimento di un’eventuale riduzione della speranza di vita relativa al biennio di riferimento da portare in riduzione dell’adeguamento successivo”. La deroga per i lavoratori “addetti a attività gravose” riguarda invece l’incremento di 5 mesi del’età per l’accesso al pensionamento di vecchiaia e anticipato che sarebbe scattato nel 2019. Le categorie escluse saranno in tutto 15, ovvero le 11 già individuate ai fini dell’Ape sociale, più alre 4 con particolari indici di infortunistica e di stress da lavoro correlato: operai e braccianti agricoli; marittimi “imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti marini ed acque interne”; “pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare, dipendenti e soci di cooperative”; siderurgici “di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti ad alte temperature” (l’inserimento dei lavoratori siderurgici di prima fusione interessa anche i lavoratori Ilva).

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Nella relazione tecnica che accompagna le norme si precisa che da questi interventi “non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” in quanto “sono comunque confermati i requisiti di accesso al pensionamento previsti a normativa vigente”. Non ne deriva, quindi, “una maggiore spesa pensionistica e un peggioramento degli indicatori di misura della sostenibilità della finanza pubblica e del debito”. Il capitolo sulla previdenza complementare dei dipendenti pubblici prevede l’equiparazione della disciplina fiscale a quella del settore privato e il silenzio assenso per l’adesione dei neoassunti dal 2019. Da segnalare che tra le proposte del governo manca ancora l’estensione dell’ape sociale in attesa di conoscere il ‘tiraggio’ 2017 e quindi le risorse residue da poter dedicare a questo tema l’anno prossimo. La misura potrebbe entrare in seconda lettura alla Camera. Complessivamente il pacchetto pensioni presentato dal governo prevede un costo a regime di 300 milioni di euro divisi circa a metà tra oneri pensionistici e nuovo regime della previdenza complementare della PA. Di questi 166,2 milioni (a regime nel 2027) sono legati alla maggiore spesa pensionistica, i progressivo aumento dai 100 milioni stimati per il 2019. Il resto va a coprire il meccanismo del silenzio assenso per l’adesione ai fondi complementari dei nuovi assunti nella PA e l’estensione ai dipendenti pubblici della disciplina fiscale in materia di previdenza complementare prevista per il privato. Di conseguenza emergono per le casse pubbliche maggiori spese per 89,4 milioni a regime a titolo di erogazione del contributo datoriale da parte dello Stato e 44,6 milioni di minori entrate fiscali legate al nuovo trattamento per la previdenza complementare della PA.

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