Strage di Manchester, 7 arresti. “Siamo dell’Isis”, indagini si allargano alla Libia

Strage di Manchester, 7 arresti. “Siamo dell’Isis”, indagini si allargano alla Libia
25 maggio 2017

L’attentatore suicida di Manchester non ha agito da solo, ma faceva parte di una rete: la tesi esposta dal responsabile della polizia di Manchester, Ian Hopkins, sembra essere stata confermata dai nuovi arresti che hanno fatto salire a sette il numero delle persone fermate nell’ambito delle indagini. La polizia britannica ha infatti arrestato un quinto sospetto nella località di Wigan; gli agenti non hanno reso note le generalità della persona fermata, né hanno aggiunto altri dettagli se non che al momento del fermo il cui contenuto è attualmente all’esame degli inquirenti. I più clamorosi sviluppi nelle indagini sembrano tuttavia essere avvenuti in Libia, il Paese di origine del 22enne Salman Abedi; secondo le autorità britanniche infatti questi era già finito sotto la lente dei servizi segreti prima di commettere l’attentato e si sarebbe recato in Libia e “probabilmente” anche in Siria per poi radicalizzarsi; i suoi legami con lo Stato islamico, che ha rivendicato l’attentato, risulterebbero quindi provati.

La conferma sembra essere arrivata dopo l’arresto avvenuto martedì a Tripoli di Hashem Abedi, un altro fratello dell’attentatore, il quale ha ammesso di essere stato a conoscenza del progetto di attentato e di far parte delle milizie jihadiste dell’Isis: lo hanno reso noto fonti dei servizi di sicurezza libici. Hashem “ha indicato di appartenere all’Isis insieme al fratello Salman e ha riconosciuto di essere stato presente in Gran Bretagna durante il periodo di preparazione dell’attentato”, ha spiegato un portavoce delle Forze di Dissuasione, la polizia leale al governo di Unità nazionale. Oltre ad Hashem la polizia libica ha reso noto di aver arrestato martedì anche il padre, Ramadan Abedi. Altri indizi sarebbero ricavabili dalla bomba “potente e sofiosticata” usata dall’attentatore, secondo quanto pubblica il quotidiano statunitense The New York Times. La bomba, contenuta in uno zaino piuttosto che montata su una cintura, era infatti dotata di un detonatore di tipo piuttosto poco usuale, che conteneva anche un piccolo circuito stampato piuttosto che un semplice interruttore: ciò sembrerebbe indicare che potesse essere detonata anche a distanza, circostanza che confermerebbe l’esistenza di una rete di complici. Stando a fonti dei servizi britannici citate dall’emittente televisiva statunitense Nbc la bomba sarebbe stata fabbricata con dei materiali difficili da ottenere in Gran Bretagna, anche questa una prova che sembrerebbe indicare una pianificazione collettiva.

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