Strage rapido 904, Brusca: “Per me palese che fu Cosa Nostra”

Strage rapido 904, Brusca: “Per me palese che fu Cosa Nostra”
13 gennaio 2015

strage falcone

“Io in quel momento ero detenuto, non so come sono andati i fatti, di questa strage non so nulla, ma per quelle che sono le mie conoscenze, per le parole con Pippo Calo’ e Toto’ Riina, era palese che era stata Cosa Nostra” a compiere la strage del rapido 904. Lo ha detto il pentito Giovanni Brusca, deponendo in videoconferenza al processo di Firenze che vede come unico imputato Toto’ Riina, accusato di essere il mandante della strage. Ricordando che “nel 1984 Riina era capo provincia ed era il piu’ influente di tutti”, Brusca ha ricordato che “a un dato punto mi trovavo al bunker di Palermo, era il 1986 o il1987, per il maxi processo, io ero a piede libero, mi avvicinai alla gabbia in cui era tenuto Pippo Calo’ che mi disse di far sparire dell’esplosivo, le cosiddette mine anticarro, perche’ se trovavano questo materiale sarebbe stata una prova della sua corresponsabilita’ nella strage. Io avrei dovuto distruggere questo elemento di prova. L’esplosivo era arrivato dalla Thailandia nell”82-83, ed era stato diviso fra tre mandamenti”.

Pippo Calo’ e’ stato gia’ condannato per la strage del rapido. Poco dopo, ha ripreso Brusca, “lo riferii a Riina, che era latitante, e Riina mi disse che Pippo Calo’ non doveva preoccuparsi perche’ ci avrebbe pensato lui. Lo disse sorridendo, facendomi capire che era tranquillo e che conosceva bene la cosa. Riferii questa cosa a Pippo Calo’ che ne prese atto. Tra Riina e Calo’ i rapporti erano ottimi, nella guerra di mafia erano sullo stesso fronte e Calo’ prendeva ordini da Riina. Io – ha detto ancora – mi rapportavo con Riina, quello che diceva lui io facevo, ero il suo automa, avevamo un rapporto di stima e di fiducia che superava quello con mio padre”.

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FALCONE “Il dottor Falcone dopo l’uccisione di Chinnici nel 1983 doveva essere ucciso, ci sono stati rinvii per questioni interne a Cosa nostra e tentativi andati a vuoto ma era stato deciso allora”, ha continuato Brusca. Nei primi anni Ottanta, ha detto Brusca, Cosa nostra aveva una strategia per contrastare i processi: “Avvicinare il presidente della Corte, il giudice a latere o i giurati per ottenere un risultato positivo nei nostri confronti. Poi, come sempre, quando non si otteneva il risultato sperato si andava per le vie criminali uccidendo i magistrati o chi non si metteva a disposizione”. Rispondendo alla Pm Angela Pietroiusti, Brusca ha fatto anche un accenno alla presunta trattativa Stato-mafia: “In un momento, nel ’92, dopo la strage di Capaci, c’è stata una richiesta di soggetti, dei carabinieri con il generale Mori, io avevo un’altra strada”, con un altro soggetto, “per trattare domiciliari in cambio di opere d’arte”.

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