Taormina Arte tra crisi economica e di progetti

12 agosto 2014

La Perla dello Jonio ha rinnovato anche quest’anno il suo appuntamento con la lirica nell’ambito di Taormina Arte. Ancora una volta Enrico Castiglione, direttore artistico della sezione Musica della kermesse taorminese, nonché regista e scenografo degli allestimenti presentati, firma il cartellone senza però rinnovarsi particolarmente nella scelta dei titoli. La scelta di quest’anno è infatti ricaduta ancora una volta su Cavalleria Rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo, già allestiti lo scorso anno e su Tosca di Puccini, messa in scena negli anni d’esordio alla guida della sezione musicale di Taormina Arte. Un riproporsi questo che certamente ha nuociuto, in parte, all’affluenza di pubblico che, nonostante i titoli, non ha affollato il Teatro Antico, solitamente gremito. Negli altri anni. Che si cominci a sentire un po’ di stanchezza nel rivedere e riascoltare le stesse produzioni di anno in anno? Forse. Ma, come hanno fatto notare alcuni spettatori all’uscita del teatro, “questo passa il governo”. Affermazione che, in tempi di crisi, è quanto mai emblematica. Considerato che a causa dei tagli alla cultura Enti lirici, Orchestre, Associazioni musicali nazionali sono sull’orlo del fallimento e della chiusura. La stessa istituzione di Taormina Arte si è vista decurtare il finanziamento regionale di netto passando dagli oltre due milioni a solo 500 mila euro. In questi tempi quindi è benvenuta qualsiasi iniziativa cerchi di tenere vivo l’interesse verso un arte, la Musica, l’Opera, che sembra destinata a scomparire, nonostante sia uno dei baluardi su cui si fonda la cultura italiana. Questo però a patto che nel risparmio non ne soffri la qualità, l’estro, il talento. Qualcuno potrebbe dire che qualità e risparmio non vanno spesso d’accordo. Errore. Con il Talento anche due elementi apparentemente antitetici, specialmente nel mondo dell’Opera, possono e devono andare d’accordo.

Ma andiamo alle rappresentazioni taorminesi, Pagliacci e Cavalleria, andati in scena il 2 e 4 agosto e Tosca, in scena dal 9 con repliche il 13. Unico cambiamento, nella riproposta delle opere di Leoncavallo e Mascagni, il cast e la messa in scena in forma di dittico, come tradizione vuole – lo scorso anno erano state invece date separatamente. Unico superstite nei ruoli principali il tenore Piero Giugliacci che vestiva i panni di Canio e Turiddu. Impresa ardua per un interprete che pur mantenendo una buona musicalità e un canto fondato su un’altrettanta buona tecnica si è visto poco supportato dalla buca. In buca infatti si trovava l’Orchestra Filarmonica Hang Zhou diretta dal Maestro Yang Yang. Orchestra importata dalla Cina che, pur mostrando una certa qualità di suono, gli archi in particolare e qualche sezione dei fiati, mancava tuttavia di quell’amalgama necessario tra palco e buca, nonché di quello spirito che contraddistingue le partiture veriste come quelle di Leoncavallo e Mascagni. Ma di ciò è forse più responsabile il direttore che non è riuscito ad imprimere altro che una quasi metronomica lettura, mancando tuttavia i giusti tempi e le dinamiche delle partitura, incrementando così la scollatura tra palco e buca. Tutti gli interpreti, poco adatti ai ruoli hanno cercato di portare avanti la serata, nel bene e nel male, con più o meno pecche vocali e interpretative che, forse, con più prove e un’accorto lavoro tra regista e direttore si sarebbero potute alleviare. Sul piano scenico le scarne ed essenziali – cubi variopinti e tendone circense che per Cavalleria perdevano colore e si trasformavano in una croce lignea – scene firmate Castiglione se lo scorso anno si erano “illuminate” in un più variegato, anche se sempre essenziale gioco di luci, quest’anno hanno espresso tutto il lugubre livore della tragedia imminente – scelta registica o mancanza di tempo per fissare qualche memoria luci in più?
Stessa mancanza per l’altrettanto essenziale e scarna scena di Tosca che abbandonati i tradizionalismi della prima versione, vista nel 2006, si è “arricchita” di influssi grecizzanti con torreggianti colonne doriche diroccate incombenti inesorabilmente sia nella chiesa di sant’Agnese del primo atto, sia nello studio di Scarpia di Palazzo Farnese, sia in Castel Sant’Angelo nel finale. Ora si può capire un “velato” omaggio al luogo che ospita la performance, ma lo stesso Teatro Antico è più romano che greco nella forma e nell’architettura, quindi perché non sfruttare a questo punto ciò che antichi e natura hanno evidentemente fatto meglio? Magari lavorando di più sulle luci e scegliendo con più cura lo stile degli arredi, puntando su eleganza e minimalismo. Invece no. In mezzo alle colonne doriche di annetti, poltroncine e scrivanie, nonché croci, candelabri, quadri di stile e natura diversi…. Neanche avessero fatto ricorso al robivecchi per trovarli. Come i precedenti allestimenti neanche Tosca si può dire abbia brillato dal punto di vista vocale e musicale. Cast ancora una volta fuori ruoli, più da comprimari che protagonisti, anche se di buona volontà. All’orchestra cinese si ė sostituita la Sinfonica Nazionale della Turchia, ma il risultato non è cambiato, anzi. Qui mancava anche la qualità del suono. Il resto si è ripetuto esattamente, grazie anche alla lettura superficiale del maestro Cem Mansur. Effetto della crisi? O mancanza di talento? La poca affluenza di pubblico – 5 mila di capienza poco più della metà – nonostante gli applausi, è un segno d’allarme. Meglio cambiare finché si è in tempo.

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