Teresa Margolles, l’arte come conoscenza anche dentro l’inferno

28 marzo 2018

Non c’è una definizione univoca, ma un modo per descrivere l’arte contemporanea è forse quello di pensarla come “una esperienza” all’interno di qualcosa che ci è ignoto, e contemporaneamente notissimo. Come una passeggiata dentro una stanza inondata di vapore acqueo nel quale possiamo solo, e compiutamente, scomparire. Siamo al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano: la mostra è “Ya basta hijos de puta” di Teresa Margolles, curata da Diego Sileo, che così ci ha presentato il lavoro dell’artista messicana. “Un’artista che ha fatto, con la sua estetica, con la sua arte e la sua poetica – ha detto Sileo ad askanews – un tentativo di conoscenza, di porre sotto la luce dei riflettori quelli che sono alcuni temi tra i più tristemente attuali della nostra realtà, della nostra società contemporanea”. Nella fattispecie si parla dei femminicidi di Ciudad Juarez, quel gorgo di orrore reso celebre anche da un romanzo come “2666” di Roberto Bolano. Un incubo senza fine verso il quale Teresa Margolles apre, anzi spalanca gli occhi, suoi e nostri. “Io non so cosa potrà succedere – ci ha detto l’artista – ma è importante dare visibilità, per esempio alle ragazze transgender, che sono la parte più invisibile della comunità di Ciudad Juarez, sono loro che stanno nella peggiore condizione. Renderle visibili è ciò che mi interessa e il cambiamento potrebbe poi venire da noi, da chi adesso può vedere e pensare a questa storia”.

Una storia che passa attraverso i fili di sutura usati nelle autopsie di 57 persone uccise in modo violento, oppure quello stesso vapore nel quale ci siamo subito persi, che scopriamo derivare da acqua disinfettata nella quale sono stati immersi lenzuoli usati per ricoprire i corpi di persone morte in Italia a causa di diverse forme di violenza. Insomma, la Morte, con la emme maiuscola, proprio intorno a noi. “Quello che lei vuole, effettivamente – ha aggiunto Sileo – è proprio questo: portare alla nostra attenzione e quindi alla nostra conoscenza. E’ questa la chiave della sua arte, e sicuramente la cosa più importante della sua arte, quella che a noi interessa far emergere”. E poi il titolo della mostra: “Ora basta figli di puttana”, un messaggio dei narcotrafficanti rinvenuto sul corpo di una donna decapitata a Tijuana. Che qui, preso in mano dall’artista, assume una valenza diversa, di ribellione e anche, perché no, di speranza. “Quando ho letto quel messaggio – ha proseguito Teresa Margolles – mi sono chiesta: per chi è questo messaggio? A chi lo stanno lanciando? Ho pensato che fosse perfetto per il titolo della mostra”. Alla presentazione dell’esposizione del PAC ha preso parte anche l’assessore alla Cultura di Milano, Filippo Del Corno, che ha sottolineato sia l’importanza del messaggio, sia il valore artistico assoluto dei diversi media che lo veicolano. “C’è una tale compenetrazione tra l’aspetto che non è solo di denuncia o di messaggio, ma è anche di proposta positiva, anche se urlata – ci ha spiegato l’assessore – con la qualità intrinseca del modo proprio di agire artistico della Margolles. In questo caso credo che sia molto stimolante cogliere questa unità”. Che si manifesta anche nell’ennesima riprova del fatto che la realtà nasce dalla somma di visioni diverse, che non generano un’unica interpretazione, ma l’idea di una possibilità ancora nuova. Per quanto, in questo caso, anche dolorosa.

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