Torna in Vaticano la lettera rubata di Cristoforo Colombo

Torna in Vaticano la lettera rubata di Cristoforo Colombo
L'ambasciatrice di Donald Trump presso la Santa Sede, Callista Gingrich, e monsignor Jean-Louis Bruguès
14 giugno 2018

Il viaggio dagli Stati Uniti al Vaticano compiuto dalla lettera di Cristoforo Colombo sulla scoperta dell’America (Epistola de insulis nuper inventis), trafugata in data ignota, sostituita con una copia magistralmente falsificata, ritrovato in casa di un ignaro collezionista statunitense e oggi, grazie alla sua vedova, Mary Persons, restituita alla Biblioteca vaticana “ci auguriamo che sia l’ultimo”: commenta con una punta di humour monsignor Cesare Pasini, prefetto dell’istituzione vaticana. Con una cerimonia ufficiale che si è svolta stamane, l’ambasciatrice di Donald Trump presso la Santa Sede, Callista Gingrich, affiancata dagli agenti speciali che hanno condotto per sette anni l’indagine, ha restituito l’incunabolo – un volumetto che presenta la traduzione in latino fatta già nel 1493, in diverse copie, dall’originale spagnolo – nelle mani di monsignor Jean-Louis Bruguès, bibliotecario di Santa romana Chiesa.

La lettera rubata di Cristoforo Colombo

“Devo ammettere che siamo stati presi piuttosto di sorpresa quando fummo contattati dalle autorità nel 2012 per questo libro”, ha commentato durante la cerimonia il presule francese. “Grazie agli occhi esperti e fini del lavoro di investigazione dei nostri amici e colleghi americani, e alla generosa disposizione della signora Mary Persons, adesso sappiamo che il libro che era nella nostra Biblioteca non era l’originale ma una falsificazione preparata ad arte, inserita nel fondo De Rossi proprio al fine di coprire il furto dell’originale. Non sappiamo esattamente quando il furto e la sostituzione sono avvenute né – ha proseguito con ironia il presule francese – come l’originale ha seguito Colombo nell’emisfero occidentale, per essere acquistato dall’ignaro signor Parsons nel 2004. La tecnica utilizzata dal falsario, nota come stereotipo e che riproduce non solo le caratteristiche visive ma anche quelle tattili dell’originale, è stato utilizzato in molti falsi del diciannovesimo e ventesimo secolo, per cui probabilmente non sapremo mai con sicurezza chi era il falsario”.

Il furto, commenta mons. Pasini sull’Osservatore Romano, “verosimilmente in occasione di interventi sulla rilegatura del volume. Non dovette essere difficile a un legatore evidentemente disonesto di compiere una simile sostituzione, ponendo al posto dell’originale una copia creata con la tecnica della stereotipia, che permetteva già dai primi decenni dell’Ottocento di riprodurre le pagine di uno stampato mediante calco su lastra meccanica. Non è dato sapere quando possa essere avvenuta la sottrazione, ma ora sappiamo che si è potuto rintracciare negli Stati Uniti l’incunabolo originario, venduto nel 2004 da un antiquario a Robert David Parsons, che ne fece acquisto non conoscendone la provenienza e men che meno immaginando che il volume fosse stato sottratto dalla Biblioteca rossiana della Biblioteca apostolica vaticana. Un confronto fra questo incunabolo e quello falsificato ora conservato in Vaticana ha permesso agli esperti di affermare che l’incunabolo ricomparso negli Stati Uniti coincideva con quello originario conservato nella raccolta di De Rossi”.

E “come in ogni racconto a lieto fine, è gradito riconoscere l’apporto positivo delle autorità statunitensi nell’identificazione dell’incunab olo trafugato; e volentieri manifestiamo riconoscenza a Mary Parsons, per la decisione di lasciar ritornare in Vaticana l’antico volumetto della Biblioteca rossiana, così che potesse compiere un ulteriore viaggio. Ci auguriamo che sia l’ultimo: non lo rinchiudiamo in una prigione, ma lo conserviamo e preserviamo a beneficio di ogni studio e ricerca che si volesse ulteriormente compiere su di esso”.

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