Tribunale di Milano: Zambetti pagò ‘ndrangheta per assicurarsi voti

Tribunale di Milano: Zambetti pagò ‘ndrangheta per assicurarsi voti
24 luglio 2017

Domenico Zambetti venne eletto alle regionali del 2010 anche grazie ai voti della ‘ndrangheta. Secondo i giudici del Tribunale di Milano che a dicembre scorso lo condannarono a 13 anni e 6 mesi, alcuni referenti dei principali clan del Milanese, “hanno raccolto effettivamente i voti promessi a Zambetti, chiedendoli a ben individuati esponenti dei diversi gruppi mafiosi della ‘ndrangheta lombarda. E, di contro, l’assessore regionale, dopo un’iniziale ritrosia, ha versato, in contanti, il corrispettivo precedentemente pattuito nelle loro mani”. I giudici dell’Ottava Sezione Penale lo scrivono nero su bianco nelle motivazioni della sentenza che portò alla condanna di Zambetti per voto di scambio con la ‘ndrangheta, corruzione e concorso esterno in associazione mafiosa. “Inequivocabile – precisano in un passaggio del provvedimento – è in proposito la frase” che uno dei referenti delle cosche lombarde “si riserva di dire all’assessore per ricondurlo al rispetto degli impegni assunti: ‘Mimmo, abbiamo lavorato per te… Tutti i calabresi hanno lavorato per te…'”. L’arresto di Zambetti, scattato nell’ottobre 2012, portò alla crisi della giunta Formigoni e alla fine anticipata della legislatura regionale. L’allora assessore alla casa, eletto nel 2010 con 11 mila preferenze, finì in carcere con un’accusa pesantissima: quella di aver versato 200 mila euro in contanti alle cosche della ‘ndrangheta per assicurarsi un pacchetto di 4 mila voti sicuri. Imputazione che ha retto al giudizio del Tribunale: nel provvedimento – 493 pagine – i giudici chiariscono che “il patto di scambio avviene concretamente tra Domenico Zambetti, assessore regionale, e Eugenio Costantino e Giuseppe D’Agostino, i quali agiscono come referenti e portavoce di alcune importanti famiglie mafiose della ‘ndrangheta lombarda”.

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Costantino, finito sotto processo insieme a Zambetti e condannato a 16 anni e 6 mesi di carcere, è infatti “membro attivo della cosca Di Grillo-Macaluso avente sede e base logistica in Cuggiono”. D’Agostino (processato in abbreviato e condannato a 8 anni e 8 mesi con sentenza già confermata dalla Cassazione) “è invece un colletto bianco della ‘ndrangheta” e il suo ruolo nell’organizzazione criminale “era prettamente imprenditoriale e affaristico”. Ed è stato proprio D’Agostino, “presentandosi come rappresentante di un tessuto criminale sostanzialmente unitario” che ha potuto garantire a Zambetti la promessa “di procurargli nelle elezioni regionali del 2010 un cospicuo pacchetto di voti e, nello stesso tempo, ha potuto esercitare sull’assessore la forza di intimidazione dell’associazione mafiosa per costringerlo ad assolvere tutte le obbligazioni assunte con un patto prelettorale di scambio”. Il potere dell’associazione criminale “è noto a Zambetti” che “consapevolmente, ha scelto quale contraente un tale centro di potere perchè puntava al bacino elettorale lombardo della lobby calabrese e al consenso dell’intera consorteria”. Tutto questo per “ottenere un numero di voti, nell’intero bacino della regione, di tale entità da assicurare la sua elezione nella competizione per il rinnovo del consiglio regionale della Lombardia del 28-29 marzo 2010”. Insieme a Zambetti (condannato a 13 anni e 6 mesi contro i 10 chiesti per lui dal pm e ritenuto colpevole anche di concorso esterno in associazione mafiosa, a differenza di quanto sostenuto dalla pubblica accusa) e Costantino, vennero condannate altre due persone: Ambrogio Crespi, fratello dell’ex sondaggista di Silvio Berlusconi Luigi Crespi, (12 anni), e Ciro Simonte, altro presunto affiliato della ‘ndrangheta, (11 anni).

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Per Giusepppe Rossodivita, invece, “Ambrogio Crespi dovrà essere assolto in Appello, lo conferma la lettura della motivazione della sentenza di primo grado”. “Dispiace sempre leggere sentenze che motivano condanne, per lo più a pene assai pesanti, senza tener in alcun conto gli apporti probatori, oggettivi ed incontestabili, forniti dall’imputato nel corso del processo – afferma il legale di Ambrogio Crespi -. La tesi del Tribunale di Milano non è la sintesi del processo, ma appunto è tesi, la stessa che aveva la Procura nel corso della fase delle indagini preliminari: come se il dibattimento e le prove a discarico formatesi davanti ai giudici non fossero esistite”. In altri termini, per Rossodivita, “il fatto di reato, contestato ad Ambrogio Crespi, di cui parlano tra loro terze persone, in quattro righe di intercettazione all’insaputa dell’ignaro Ambrogio Crespi non è stato minimamente riscontrato e non potrà mai esserlo, perché non è mai esistito”. E sempre secondo la difesa, “gli stessi autori di quelle dichiarazioni le hanno qualificate come invenzioni e millanterie”. “Nelle stesse motivazioni della sentenza, probabilmente in modo involontario – conclude Rossodivita – i giudici del Tribunale di Milano hanno evidenziato elementi che consentono tranquillamente, facendo uso di una logica elementare, di qualificarle come tali. Faremo Appello, ovviamente, e Ambrogio Crespi sarà assolto”.

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