La lunga tournée di Trump per recuperare l’Asia

La lunga tournée di Trump per recuperare l’Asia
2 novembre 2017

Un presidente nel pieno della bufera in patria va incontrare una serie di leader che, in Asia, hanno visto consolidato il loro ruolo. Donald Trump fa il suo debutto in una delle regioni più dinamiche, ma anche più instabili nel mondo. Una regione che, diversamente da come la descriveva durante la campagna elettorale, è cruciale per gli Stati uniti dal punto di vista della sicurezza, oltre che da quello economico. La tournée del presidente durerà ben 12 giorni, da domani al 14 novembre. Toccherà cinque paesi: Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Filippine. E incontrerà leader che, rispetto alla sua ingombrante personalità e rispetto alle sue politiche in Asia, hanno approcci diversi. Tra questi l’amichevole premier giapponese Shinzo Abe e il perplesso presidente sudcoreano Moon Jae-in. Oltre a questi, vedrà il vero anti-Trump: Xi Jinping, appena assurto allo stesso rango di Mao Zedong nel pantheon dei leader cinesi e portatore di un’aperta sfida all’egemonia americana iniziata nel dopoguerra. Parafrasando lo slogan elettorale di Trump, si può dire che l’obiettivo di Xi sia “Make China Great Again”. Perché si realizzi il piano di Xi, non si deve realizzare quello di Trump. Il viaggio di Trump – ha comunicato martedì ufficialmente la Casa bianca – “sottolineerà il suo impegno nelle partnership e nelle alleanze di lunga durata degli Stati uniti, ribadendo la leadership degli Stati uniti nel promuovere una regione dell’Indo-Pacifico libera e aperta”. Insomma, il capo della Casa bianca ha bisogno di spiegare che l’America intende continuare a mantenere i piedi in Asia e che, quando evocava un disimpegno americano nella regione, era in campagna elettorale. Domani la prima tappa del viaggio sarà alle Hawaii (visiterà Pearl Harbour e il Memoriale della USS Arizona). Poi il 5 novembre si sposterà in Giappone. Il 7 novembre sarà in Corea del Sud, per andare il giorno dopo in Cina. Poi il 10 novembre sarà a Danang in Vietnam, per partecipare alla riunione dei Leader economici della Cooperazione Asia Pacifico dove terrà un discorso nel quale espliciterà “la visione degli Stati uniti per una regione Indo-Pacifica libera e aperta, sottolineando il ruolo importante che la regione ha per la prosperità economica dell’America”.

Il giorno dopo volerà ad Hanoi, dove incontrerà il presidente vietnamita Tran Dai Quang e altri leader del paese un tempo in guerra con gli Usa. L’11 novembre sarà a Manila, dove prenderà parte a un Gala speciale per il 50mo anniversario dell’Associazione dei paesi del Sudest asiatico (Asean). Il 13, infine, il presidente commemorerà il 40mo anniversario delle relazioni Usa-Asean e avrà, nel summit Usa-Asean, incontri bilaterali con il sulfureo presidente filippino Rodrigo Duterte, il quale ha avuto un rapporto molto conflittuale con il predecessore di Trump e ha dato segnali di voler abbandonare la storica alleanza con Washington per allinearsi alla Cina. Il presidente americano ha chiarito che intende tenere molto alta in agenda la questione delle minacce nordcoreane, che saranno al centro dei colloqui soprattutto nelle prime tre tappe estere, le più importanti, della visita. Il regime di Kim Jong Un, che ha effettuato il 3 settembre il suo sesto test nucleare (il più potente) e ha più volte lanciato missili che hanno fatto partire gli allarmi in Giappone, minacciando apertamente l’America, rappresenta una spina nel fianco non solo per gli Stati uniti e i suoi alleati, ma anche per la stessa Cina che ha bisogno di stabilità e non gradisce le continue provocazioni del suo giovane vicino. L’atteggiamento duro di Trump nei confronti di Kim è certamente gradito dal Giappone di Abe. Il premier nipponico, che ha appena avuto una sonora conferma in elezioni anticipate le quali gli offrono anche la possibilità di fare dei passi avanti nella riforma costituzionale volta a garantire una maggiore operatività alle Forze di autodifesa, è riuscito a costruire un rapporto amichevole con Trump. Nel vertice di febbraio a Mar-a-Lago, il resort del magnate/presidente in Florida, ha creato un clima di cordialità che intende ripetere nel viaggio di Trump a Tokyo. Protagonista sarà di nuovo il golf, come a febbraio: per l’occasione è stato scomodato un giocatore giapponese numero 4 del ranking mondiale. E, per la cena di gala, ci sarà persino Piko Taro, il cantante kitsch autore della hit internet PPAP (Pen-Pineapple-Apple-Pen), la più amata dalla nipotina di Donald, Arabella. A parte il coté ludico della visita, in realtà Abe punta a tenere Trump ben stretto sulla linea dura contro Kim.

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In questo senso s’inquadra anche l’incontro previsto tra il presidente Usa e i familiari dei cittadini giapponesi rapiti dal regime nordcoreano negli anni ’70-’80, tra i quali l’allora tredicenne Megumi Yokota. Si tratta di una vicenda molto sentita da Abe, che si è ripromesso di portare i rapiti a casa (mentre Pyongyang sostiene che sono morti). Trump ha citato la vicenda di Megumi Yokota nel suo primo discorso di fronte all’Assemblea generale dell’Onu. Non sembrano esserci invece aperture del presidente americano sul dossier del Partenariato trans-Pacifico (Tpp), dal quale Trump ha ritirato gli Usa conseguentemente alle promesse fatte in campagna elettorale, nonostante il pressing operato dallo stesso primo ministro giapponese. Meno apertamente caloroso potrebbe essere l’accoglienza da parte di Moon Jae-in, il presidente sudcoreano. La Corea del Sud è l’altro importante alleato degli Stati uniti direttamente esposto alla minaccia nordcoreana. Il nuovo presidente di Seoul, succeduto alla figura ormai in disgrazia di Park Geun-hye, è un progressista che vorrebbe aprire una nuova stagione di dialogo con i cugini del Nord. Si trova impelagato nella crisi nordcoreana suo malgrado. Ha dovuto dar via libera al sistema antimissistilisto Usa di alta quota THAAD, che ha avvelenato i rapporti con la Cina, provocando importanti perdite economiche per l’embargo de facto conseguentemente operato da Pechino. Ora i rapporti Sudcorea-Cina sono sulla via della normalizzazione. Non è, per ora, in programma una visita di Trump al 38mo Parallelo, il confine più spaventoso del mondo che divide le due Coree. Suoi predecessori la fecero, ma l’attuale inquilino della Casa bianca ci ha rinunciato. Con Xi Jinping, invece, Trump spera soprattutto di ottenere un inasprimento dell’atteggiamento di Pechino nei confronti di Pyongyang, in particolare sul rispetto delle sanzioni contro il regime di Kim, e un ribilanciamento dei commerci.

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Ma l’ultima mossa del presidente cinese va nella direzione opposta a quella auspicata dall’inquilino della Casa Bianca. Xi ha appena inviato un raro messaggio al leader di Pyongyang esprimendo l’auspicio di relazioni solide e stabili tra la Cina e la Corea del Nord. “Auspico che la parte cinese compia sforzi con la Corea del Nord per promuovere relazioni tra i due Paesi che abbiano sviluppi sostenibili, solidi e stabili”, ha scritto Xi, secondo quanto riferito dall’agenzia nordcoreana Kcna. Trump, inoltre, troverà uno Xi che, nel XIX Congresso del Pcc appena terminato, ha consolidato ulteriormente la sua posizione, dopo aver promesso una “nuova era” nella quale la Cina andrà a riprendersi il ruolo di grande potenza mondiale perso un secolo e mezzo fa, un rafforzamento militare e un’espansione economica euroasiatica attraverso il grande progetto infrastrutturale per riaprire le antiche Vie della Sera, la cosiddetta Iniziativa “One Belt One Road”. La Cina si propone sempre più come un modello alternativo agli Stati uniti e le dichiarazioni di Trump dirette a un disimpegno in Asia non hanno contribuito a rassicurare gli alleati regionali, preoccupati anche dalla politica assertiva di Pechino sul Mar cinese medionale e sul Mar cinese orientale e a rafforzare il prestigio americano nella regione. Anche per questo sarà importante capire quale sarà l’esito di questa lunga visita, nella quale Trump si gioca molto della sua politica estera.

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