Un anno di lotte di potere, nessuno è intocabile. Putin è lo zar camaleonte

Un anno di lotte di potere, nessuno è intocabile. Putin è lo zar camaleonte
18 agosto 2016

di Cristina Giuliano

medvedevÈ passato un anno esatto dall’allontanamento del fedelissimo Vladimir Yakunin dalle Ferrovie russe, e il concetto oggi è più chiaro che mai: nessuno è intoccabile. Il segnale lanciato ai clan dal camaleontico Vladimir Putin (foto home)è fin troppo evidente, ma è anche un segno dei tempi nella prospettiva a medio termine delle prossime presidenziali russe, che si terranno nel 2018, nonché delle legislative del mese prossimo. La dimostrazione di quanto la Russia sia cambiata, nonostante spesso sia descritta con immutati cliche occidentali. Ma anche di quanto continui a essere un teatro politico per il proverbio “chi troppo in alto sal, cade sovente precipitevolissimevolmente”. In questo anno sono stati davvero molti e inaspettati i cambi al vertice, mentre l’unico licenziamento prevedibile, quello del premier Dmitri Medvedev (foto), non si è verificato. L’ex presidente Medvedev regge, bandiera di un fronte non più così aperto all’Occidente, ma in grado in questo periodo fortemente complicato dalla crisi ucraina, di mantenere un dialogo con alcuni Paesi europei, in primis l’Italia, e non europei che a causa della sanzioni sembravano allontanarsi. Contemporaneamente, sul fronte interno, la crisi economica ha impoverito e ristretto la torta che in genere i clan si spartivano negli anni fiorenti dei petrodollari. E quindi le lotte intestine tra i rispettivi capi e capetti si sono moltiplicate, frenando, anzi spesso rendendo impossibili le riforme. Ultimo esempio ne è l’improvvisa – annunciata ieri – decisione del governo russo che ha rinviato la privatizzazione della Bashneft per un periodo indefinito.

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È a questo punto che il ruolo di Putin è cambiato, o comunque ha avuto una sua evoluzione, nascosta all’esterno dagli eventi di politica estera e dal suo stesso decisionismo nel conflitto siriano. Putin è diventato – o forse già con l’uccisione di Boris Nemtsov a febbraio 2015 si è trovato catapultato nel ruolo di – arbitro nel mezzo di clan, persino più rissosi del solito. E sia le nuove nomine, sia i licenziamenti sono parte non di un gioco politico, ma di un ben più complicato calcolo, secondo un galateo di relazioni molto russo, un po’ bizantino e decisamente poco comprensibile agli occhi di un occidentale. Se si trattasse di scacchi sarebbero una torre, un alfiere e la regina ad essere state mangiate in quello che potrebbe apparire una strategia suicida del re. Yakunin, poi l’ex capo delle Dogane russe Andrei Belianinov e questo mese Sergey Ivanov, sino a luglio capo dell’amministrazione presidenziale ed ex collega di Putin nel Kgb. Come ha scritto Rbk, “Ivanov non è nemmeno Yakunin e Belianinov. È il primo cerchio all’interno del cerchio interno. È l’ex candidato possibile al Cremlino”. Ma negli scacchi di Putin, ogni pezzo è sostituibile con altro pezzo. Tanto per dimostrare che, di elemento intoccabile ne esiste solo uno, il re appunto. A scegliere chi sia il re evidentemente non sono i clan, ma il comparto al momento più forte.

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All’inizio del nuovo secolo, in Russia, erano i Servizi, impegnati a riportare l’ordine in un Paese devastato dalle lotte tra oligarchi per aggiudicarsi potere e ricchezze. Oggi le lotte interne sembrano invece mettere uno contro l’altro proprio i falchi, o meglio parte di loro, poiché esiste invece un comparto, ossia la Difesa, che è ben distinto e che ha dato lustro in questi anni difficili a Mosca. Dopo una chiassosa e imbarazzante caduta di teste, a partire da quella dell’allora ministro Anatoly Serdjukov, Putin affidò la Difesa a Sergey Shoigu, efficientissimo e fedelissimo, già a capo delle Situazioni d’Emergenza e figura più popolare in Russia (se si escludono le reali percentuali bulgare di Putin). Il ministro ha saputo sgobbare e contemporanemente lavorare di fino, come fece già per l’equivalente russo della Protezione civile. Non solo le operazioni in Siria, che hanno riportato Putin sullo scacchiere internazionale, ma anche una ristrutturazione della Difesa che ha trasformato in una macchina molto efficiente quanto era allo sfascio (e interessava una significativa fetta della popolazione che porta le mostrine). Oggi la nuova sede del Ministero, sulla riva antistante al parco Gorky, appare come l’edificio più imponente e illuminato di Mosca. E di notte sono molte le finestre illuminate, segnale che come ai tempi sovietici significa una sola cosa: è lì che si sta decidendo il domani.

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