Un team internazionale di archeologi per proteggere Mohenjo Daro

17 maggio 2017

In Italia il grande pubblico ha cominciato a conoscerla sugli albi di Martin Mystère, serie a fumetti edita dalla Sergio Bonelli Editore, quella del mitico Tex, basata sulle avventure di un archeologo e scrittore conosciuto come il “Detective dell’impossibile” che indaga sui misteri del passato. Oggi Mohenjo Daro, straordinario sito archeologico del Pakistan, uno dei sei siti pachistani nell’elenco del patrimonio mondiale dell’Unesco, sta finalmente ricevendo l’attenzione che merita da parte di un team internazionali di archeologi con l’obiettivo di proteggere i suoi preziosi reperti. Mohenjo Daro è un’antichissima località risalente all’Età del bronzo, sulla riva destra dell’Indo, nell’odierna regione pakistana del Sindh, 300 km a nord-est di Karachi, una delle più grandi città della Civiltà della valle dell’Indo, sviluppatasi tra il 3300 e il 1300 a.C. anticipando quella dell’Egitto dei faraoni. “Tutti conoscono l’Egitto ma nessuno sa dell’esistenza di Mohenjo Daro e della Civiltà della valle dell’Indo” sottolinea Michael Jansen, archeologo tedesco. “Dobbiamo cambiare questa situazione”.

Il sito venne abbandonato per ragioni ancora misteriose. Come in un film di Indiana Jones, il sito è stato riscoperto nel corso degli anni ’20. Con Mohenjo Daro sono state portate alla luce vestigia della civiltà della valle dell’Indo di cui sino ad allora l’archeologia occidentale ignorava l’esistenza. Mohenjo Daro come altre città della civiltà dell’Indo si segnala per l’accurata pianificazione urbana che si rivela nel tracciato delle strade che, alla maniera romana, disegna una griglia in cui un viale largo una decina di metri divide la città bassa, separata dalla città alta, in due zone. Gli edifici sono stati costruiti con legno indurito dal fuoco e mattoni seccati al sole oppure cotti al forno per garantire maggiore durata. Complessivamente la Civiltà della valle dell’Indo controllava cinque milioni di persone e Mohenjo Daro ne era la punta avanzata con abitazioni che disponevano di pozzi autonomi, bagni decorati e toilette dotate di scarico, mentre la città poteva contare su tombini e sistemi fognari. Conservare questo patrimonio non è impresa facile. Solo una piccola parte del sito archeologico è stata sottoposta a scavi condotti scientificamente e non sono previsti programmi per condurre altri. Non per caso, come spiega Richard Meadow, professore associato di Antropologia alla Harvard University: “Tutto si conserva quando resta sepolto. Una volta che riporti alla superficie un sito antico, entra in azione una serie di forze diverse che lo aggrediscono immediatamente. Il tempo atmosferico, le condizioni dell’ambiente circostante, il comportamento dei turisti in visita e quant’altro”. Anche per questo, oggi come oggi la priorità resta la conservazione di quanto già scavato e non campagne ulteriori. Mohenjo Daro continuerà a mantenere i suoi segreti ancora a lungo.

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