Uragano anti-brexit sulla Gran Bretagna, campagna segreta per restare in Ue

Uragano anti-brexit sulla Gran Bretagna, campagna segreta per restare in Ue
La premier britannica Theresa May
9 febbraio 2018

Una vasta campagna anti-Brexit, sostenuta anche dal finanziere miliardario americano George Soros. E’ l’iniziativa del movimento ‘Best for Britain’, guidato dall’ex vice-ministro laburista George Malloch-Brown e tratteggiata dalla stampa euroscettica del Regno con i colori della cospirazione. Un’iniziativa che prevede la preparazione di un battage propagandistico piuttosto aggressivo per promuovere di fatto un secondo referendum sull’uscita, e che, stando alla prima pagina del filo-conservatore Daily Telegraph, non nasconde le mire del magnate di origine ungherese, come di altri investitori ed esponenti politici, di far cadere il governo Tory di Theresa May: precondizione per fermare l’uscita di Londra dall’Ue. Di questo, sempre secondo il giornale, si sarebbe del resto parlato di recente nel corso di una cena nella casa di Soros a Chelsea, alla quale risultano preso parte, fra gli altri, sei finanziatori disamorati del Partito Conservatore. “Non abbiamo mai nascosto il nostro programma”, ha replicato lord Malloch-Brown alla Bbc, reagendo alle accuse di trame sotterranee e destabilizzanti lanciate dal Telegraph. Non senza sottolineare che il Parlamento ha gia’ ottenuto di poter dire l’ultima parola sui termini del divorzio da Bruxelles e questo “mantiene tutte le opzioni aperte sul tavolo: inclusa quella di rimanere nell’Unione Europea”. L’ex vice-ministro ha comunque ammesso la donazione da parte di Soros di 400.000 sterline alla causa, pur negando che sia la piu’ alta ricevuta finora.

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La pensa diversamente Nick Timothy, ex braccio destro della premier May, rimasto un influente ideologo Tory grazie ai suoi interventi sulle pagine del Telegraph che dalle colonne dello stesso giornale spara a zero contro Soros e gli altri sostenitori del “progetto elitario” ‘Best for Britain’. Il cui vero obiettivo sarebbe quello di convincere i deputati a votare contro l’accordo finale che verra’ raggiunto con Bruxelles, quale che sia il suo contenuto, per ragioni di potere oltre che d’interesse. Per poi far saltare il banco con nuove elezioni o un secondo referendum. Ma al di la’ della verosimiglianza degli scenari evocati da Timothy, di sicuro non e’ un momento facile per i Conservatori britannici, alle prese anche coi nuovi ‘leak’ sul rapporto governativo riguardante il potenziale impatto negativo della Brexit per l’economia del Regno. Stando alle stime peggiori, Londra rischierebbe di ritrovarsi con un ‘buco’ da 80 miliardi di sterline nelle sue finanze pubbliche nel caso di un ‘no deal’, un mancato accordo nei negoziati con l’Ue. Questo mentre la premier ha riunito ieri e oggi il suo ‘gabinetto di guerra’, coi ministri piu’ importanti, per discutere delle linee da adottare nella nuova fase cruciale dei negoziati con l’Ue in un clima nel quale stando a diverse fonti restano ancora divisioni nel suo ‘team’. Ne’ aiuta ad alleviare la tensione la ‘stoccata’ del ministro per la Brexit, David Davis, a Bruxelles, per l'”incauta” e “scortese” pubblicazione sui media di un documento di lavoro europeo in cui si minacciano eventuali sanzioni contro Londra in caso di violazione degli accordi nella fase iniziale della transizione post-divorzio. E nemmeno il monito lanciato dall’ambasciatore giapponese a Londra, Koji Tsuruoka, secondo il quale e’ fondamentale che la Gran Bretagna mantenga l’accesso al mercato unico dopo la Brexit se vuole evitare la fuga delle aziende: a partire dai grandi investitori nipponici che nel Regno impiegano oggi ben 142.000 persone.

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