Il dopo voto della Cei tra cautela e attenzione ai Cinquestelle

Il dopo voto della Cei tra cautela e attenzione ai Cinquestelle
10 marzo 2018

I vescovi italiani cercano di orientarsi dopo il terremoto del quattro marzo. La linea da tenere sarà decisa a partire dalla settimana che tiene a battesimo la nuova legislatura, quando i vescovi, a partire dal 19 marzo, si riuniranno nel consiglio permanente, il “paralementino” dei vescovi. Prevale la cautela. Filtra l’auspicio che le forze politiche trovino un accordo nel bene del paese. E spunta qualche autocritica. “Ci sono stati tanti credenti tra gli elettori, anche nelle forze emergenti, ma la loro voce si è sentita poco o niente, fino a far ritenere ad alcuni che la Chiesa non abbia voluto, o saputo, farsi sentire”, ha detto al Corriere della Sera monsignor Bruno Forte. Le urne hanno aperto per i vescovi un terreno sconosciuto. Dopo la Democrazia cristiana, dopo il cardinale Camillo Ruini, il family day, la distanza da Prodi e la vicinanza a Berlusconi, dopo una certa cordialità degli ultimi mesi con il governo Gentiloni, i vertici della Cei si interrogano. “Se è giusto che si siano prese le distanze dal collateralismo di un tempo”, è sempre forte a dar voce ai dubbi, “mi sembra che come Chiesa in Italia ci troviamo ancora in una fase di transizione, nella quale non è chiaro in che modo la voce dei pastori e della comunità cristiana possa farsi sentire in maniera più incisiva e diretta nel dibattito politico, specie su ciò che sta più a cuore in chi si ispira al Vangelo”. La bioetica non ha certo sfondato – il Popolo della famiglia di Mario Adinolfi ha preso lo 0,66 per cento – i temi bergogliani – l’accoglienza dei migranti, l’ecologia, la critica agli eccessi del capitalismo – non sono stati al centro di una campagna elettorale peraltro povera di contenuti. Il voto dei cattolici osservanti, quelli che vanno a messa una volta a settimana, del resto, “tende ad assomigliare al voto generale degli italiani”, ha detto alla Radio Vaticana Italia Luca Comodo dell’Ipsos. Il Pd ha un voto lievemente più elevato, stimato nell’ordine del 22,4% contro il 18,8% dell’elettorato globale alla Camera.

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Il M5S è il primo partito col 31%, due punti circa sotto il livello nazionale, la Lega totalizza il 15,7% delle preferenze, Forza Italia mantiene un buon consenso col 16,2%. Rispetto al 2013 anche tra i cattolici è calato il Pd, sono saliti cinque stelle e leghisti. I vescovi studiano i nuovi vincitori, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Non sono certo volti sconosciuti. E il gradimento non è lo stesso. La Santa Sede continuerà ad educare a “passare da un atteggiamento negativo ad un atteggiamento più positivo nei confronti dei migranti”, ha dichiarato dopo il voto il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Lo stesso che aveva incontrato a Washington – di passaggio e su sua richiesta – il candidato Luigi Di Maio. Non certo un endorsement per i grillini. Parolin, del resto, aveva stroncato Beppe Grillo in persona (“Nessuno può dire: noi siamo i nuovi francescani”). E il Papa, proprio nella Genova di Beppe Grillo, ha bocciato il reddito di cittadinanza: “Dev`essere chiaro che l`obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti!”. E’ altrettanto chiaro, però, che mentre i maggiorenti cattolici non hanno gradito il “giuramento” di Salvini con Vangelo e rosario in mano, a partire dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini, nei confronti dei cinque stelle siano tutt’altro che ostili. Nei mesi scorsi la Santa Sede aveva accolto senza scetticismo l’elezione di Virginia Raggi a Roma, Di Maio aveva sventolato la bandiera della domenica libera dal lavoro, Avvenire aveva intervistato Beppe Grillo, e il direttore del giornale dei vescovi Marco Tarquinio aveva detto: “Se guardiamo ai grandi temi (dal lavoro alla lotta alle povertà), nei tre quarti dei casi abbiamo la stessa sensibilità”.

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Erano i primi abboccamenti tra mondo cattolico e grillini, magari un ballon d’essai, ma preparava la strada ad una eventualità che si è poi materializzata nelle urne. “I sintomi bisogna leggerli tutti”, ha detto in questi giorni il cardinale Aneglo Bagnasco, sibillino ma non troppo: “Come avviene in medicina, per scoprire anche eventuali problemi o alterazioni: un atteggiamento di supponenza non fa mai bene e non serve perché distanzia dalla realtà”. Ora i vescovi osservano il rebus del nuovo governo, i veti incrociati, i paletti di vincitori e vinti. “E’ l’ora della responsabilità, e, almeno un po’, della generosità”, ha scritto l’Avvenire in prima pagina in un editoriale a firma dell’economista Leonardo Becchetti. “L’ora di lavorare su ciò che unisce e non su ciò che divide. Esiste una piattaforma accettabile piuttosto ampia e ci sono persino le condizioni per battere sul tempo i tedeschi e dar vita in poche settimane a un ‘governo utile’ all’Italia e agli italiani. Forse sogniamo a occhi aperti un Paese e una politica che non esistono. Ma vale la pena di provare a farlo”. Un auspicio perfettamente in linea con l’appello alla responsabilità del presidente Sergio Mattarella. Il capo dello Stato ha in mano l’unica bussola che interessa ai vescovi. Che apprezzano il desiderio del Quirinale di tenere insieme il Sud a maggioranza grillina e il nord egemonizzato dalla Lega. E che vedono nel cattolico Mattarella un erede di quell’Aldo Moro – di cui la settimana prossima ricorre l’anniversario del rapimento (16 marzo 1978) – che intravedeva valore e fragilità della democrazia: un sistema che o si fa flessibile sismografo del paese o può andare drammaticamente in crisi.

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