Tre arresti nel Palermitano tra cui ex candidato Lega

Tre arresti nel Palermitano tra cui ex candidato Lega
Matteo Salvini (s) e Salvino Caputo
4 aprile 2018

“Attentato contro i diritti politici del cittadino”. E’ l’ipotesi di reato contestata ai dirigenti palermitani della formazione leghista Noi con Salvini, Salvino a Mario Caputo, arrestati dai carabinieri e posti ai domiciliari su richiesta della procura di Termini Imerese. Insieme a loro un ‘procacciatore di voti’ Benito Vercio, 62 anni. I tre, infatti, spiegano gli inquirenti, “hanno determinato, con l’inganno, gli elettori all’esercizio del loro diritto politico in senso difforme dalla loro volonta’”. In particolare, con un complesso “piano criminale”, avrebbero fatto in modo che, a fronte della candidatura all’Ars di Mario Caruso, “il corpo elettorale fosse orientato a pensare che il proprio voto servisse a sostenere la candidatura di Salvino Caputo, quest’ultimo incandidabile ai sensi della Legge Severino e secondo quando stabilito dal codice di autoregolamentazione dei partiti, deliberato dalla Commissione parlamentare antimafia”. A questo scopo, quindi, avrebbero attivato, durante la campagna elettorale, una serie di meccanismi “volti a trarre in inganno l’elettorato”.

In particolare, sia i manifesti elettorali sia i volantini distribuiti recitavano solo il cognome del candidato “Caputo” (omettendo qualsiasi foto) e, nella lista, Mario Caputo aveva fatto aggiungere al proprio nome il falso appellativo “detto Salvino”, con il quale era invece conosciuto l’incandidabile fratello. Inoltre, in numerosi comuni della provincia di Palermo, l’ex sindaco di Monreale e quattro volte deputato regionale si presentava al corpo elettorale come se fosse lui (e non il meno conosciuto fratello Mario) il reale candidato. Pertanto gli elettori, lo scorso 5 novembre, si sarebbero recati alle urne convinti di avere espresso la propria preferenza per Salvino. Nel corso delle indagini, la Procura della Repubblica avrebbe, inoltre, dimostrato dodici episodi di compravendita di voti in cambio di promesse di posti di lavoro o altri favori da parte di Salvino Caputo e di Vercio, insieme ad altri indagati.

GIORGETTI Per il vice segretario della Lega, Giancarlo Giorgetti “è giusto che la magistratura faccia il suo corso: se sono colpevoli, li condanni e li condanni pesantemente. Non credo siano gli unici in tutta la Sicilia a essere sospettati di questo reato”. Il numero due leghista, “deluso e amareggiato”, ha aggiunto che “purtroppo in un percorso di crescita in zone problematiche si possono fare degli errori. I riferimenti locali hanno sbagliato a puntare su personaggi che venivano dal passato”. “Sorprende  – ha anche sottolineato Giorgetti – che gli unici casi di arresto per voto di scambio in Sicilia riguardino un partito che non e’ entrato nella giunta”. In ogni caso, “la magistratura si rispetta sempre, ci saranno delle motivazioni, ma, visti i risultati delle elezioni, che ‘Noi con Salvini’ abbia comprato dei voti mi pare un po’ fantasioso”.

MUSUMECI “Grande rispetto per il lavoro della magistratura. Mi auguro che le persone coinvolte possano dimostrare la loro estraneita’ ai fatti per le loro famiglie e per la credibilita’ della politica”. Lo ha detto il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci.

Il primato

Il primato di Salvino Caputo, oggi arrestato insieme al fratello Mario, candidato non eletto alle Regionali per Noi con Salvini, e a un procacciatore di voti. L’ex sindaco di Monreale 61enne, in sella al Comune per due mandati, deputato regionale per quattro legislature, esponente di An, Pdl e infine dirigente locale della Lega, gia’ commissario straordinario di Noi con Salvini dal febbraio 2017 nelle amministrative della scorsa primavera, perse lo scranno di Palazzo dei Normanni dopo che divenne definitiva una condanna a un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio, in quanto cerco’ di fare annullare alcune multe quando era primo cittadino: e’ stato il primo, in Italia, a dover lasciare il proprio seggio, nel giugno 2013, a causa della legge Severino. Caputo tento’ di resistere contestando la “retroattivita’ della norma”, intervenuta con una sanzione che non era prevista al momento in cui era stato commesso il reato. Il ricorso, pero’, il successivo novembre, fu dichiarato “infondato”.

Il Tribunale civile spiego’ che “invero, secondo la cosiddetta legge Severino la causa di incandidabilita’ e’ l’aver riportato una certa condanna con provvedimento definitivo e non l’aver commesso un determinato fatto criminoso. Se il provvedimento giudiziario diviene definitivo in corso di mandato elettivo, non si verifica un’applicazione retroattiva della sanzione, ma un’incandidabilita’ sopravvenuta nel corso del mandato elettivo che comporta la decandenza”. Il principio di fondo “e’ quello per cui si vuole che venga allontanato dall’esercizio di determinate funzioni pubbliche un soggetto riconosciuto ‘indegno’ in relazione a certi fatti accertati con sentenza passata in giudicato”.

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