Web tax, cos’è e come funziona

Web tax, cos’è e come funziona
22 settembre 2017

La web tax e’ la tassazione sui guadagni delle grandi compagnie che operano nel web (dall’e-commerce alla pubblicita’ online) come Google o Amazon. L’Italia di recente ha giocato d’anticipo introducendo una norma transitoria in attesa che si arrivi a trovare una soluzione a livello sovranazionale.

LO SCENARIO INTERNAZIONALE A livello internazionale sono state diverse le proposte di intervento per definire una tassazione che aderisca alla nuova realta’ della economia digitale, ma sul piano operativo i singoli paesi si sono mossi in ordine sparso. In molti casi le soluzioni adottate, o nella maggior parte dei casi solo proposte, sono state di tipo parziale e contingente ai problemi esaminati. Inoltre, in diversi paesi, le norme introdotte sono state abrogate dopo breve tempo.- Regno Unito, tassa al 25% Il meccanismo che va sotto il nome di Diverted profits tax (Dpt) e’ stato introdotto nel 2015 e prevede una tassazione del 25% ma in due situazioni ben precise. Il primo caso e’ quello del trasferimento in Paesi a piu’ basso prelievo: la societa’ realizza profitti nel Regno Unito ma poi fa in modo di spostarle in Paesi con trattamento fiscale piu’ favorevole verso soggetti che non hanno sostanza economica e che sono detentori di attivita’ significative prevalentemente immateriali (costituzione di intellectual property companies inparadisi fiscali). Il secondo caso e’ la stabile organizzazione: la Dpt puo’ scattare in presenza di situazioni elusive da parte di una stabile organizzazione di un’impresa non residente nel Regno Unito ma che comunque vende beni o servizi sul territorio. Questo sistema e’ stato accompagnato anche dall’attribuzione di poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria britannica sulle attivita’ societarie.

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In India esiste ‘l’equalization levy’: si tratta di una forma di prelievo a carattere compensativo che parte dall’obiettivo di garantire lo stesso trattamento tra operatori domestici ed estero.- L’Unione europea. Oggi il vicepresidente della Commissione uropea ValdisDombrovskis ha sottolineato che l’Ue “crede in un semplice principio: le societa’ dovrebbero pagare le tasse dove svolgono la loro attivita’ economica effettiva”. La comunicazione vuole rappresentare una base di lavoro per le prossime discussioni fra i 28, a partire da quella di venerdi’ prossimo a Tallinn fra i capi di Stato e di governo che si riuniranno per il”digital summit”. L’obiettivo e’ avere una posizione comune entro la riunione di dicembre dell’Ecofin, da presentare all’Ocse che dovrebbe a sua volta presentare una proposta all’inizio dell’anno prossimo. Quanto alla proposta legislativa Ue, Dombrovskis ha confermato che sara’ elaborata dalla Commissione possibilmente la prossima primavera. – Il tentativo dell’Italia In Italia, con la legge di stabilita’ 2014 si era realizzato un primo tentativo di tassazione dei prodotti digitali. Una misura mai entrata in vigore perche’ prima sospesa con un decreto e poi definitivamente abrogata dal Governo Renzi (DL 16 del 6marzo 2014) vietava a imprese e professionisti di acquistare servizi pubblicitari online da aziende che non fossero munite di partita Iva italiana. Con la manovrina entrata in vigore a giugno scorso e’ stata introdotta una norma ponte che prevede per i giganti del web con oltre un miliardo di fatturato e un giro d’affari di almeno 50 milioni di euro, la possibilita’ di stringere accordi preventivi con l’Agenzia delle Entrate.

SOTTO LA LENTE I COLOSSI DEL WEB Airbnb: nel 2016 e’ stato utilizzato da piu’ di 10 milioni dipersone in Francia, ma ha pagato meno di 100 mila euro di tasse al ministero del Tesoro. – Google: nel 2015, in base a quanto riportato nel bilancio consolidato il gruppo Google (in cui sono presenti, oltre alla capogruppo Alphabet Inc. con sede negli Stati Uniti, le società Google con sede nei diversi paesi europei tra cui Google Italia) ha realizzato 67,6 miliardi di euro di fatturato sul quale ha pagato 3 miliardi di imposte, con una aliquota implicita sul fatturato del 4,4 per cento. A fronte di un margine di profitto del 26,2 per cento, l’aliquota implicita calcolata sull’utile di bilancio e’ stata pari al 16,8 percento, contro un’aliquota nominale dell’imposta sulle societa’ vigente negli Stati Uniti del 35 per cento.- Facebook: anch’essa con sede negli Stati Uniti, ha registrato 16,2 miliardi di euro nel suo bilancio consolidato che include,in quanto consociate, i risultati di Facebook Italia e le societa’ presenti in Belgio, Francia, Germania, Spagna, Svezia,Paesi Bassi e Regno Unito. Le imposte complessivamente pagate sono pari a 2,3 miliardi, con un margine di profitto del 34,5 per cento e una aliquota implicita del 14 per cento e del 40,5per cento, rispettivamente sul fatturato e sugli utili. Il bilancio consolidato di Facebook non include i ricavi della societa’ irlandese Facebook Ireland Limited, che non fa capo alla Facebook Inc. negli Stati Uniti, ma alla Facebook IrelandHolding Unlimited che nel 2010 ha acquisito i diritti di sfruttare la piattaforma del social network al di fuori degli Stati Uniti e del Canada. Entrambe le societa’ hanno come ultimo proprietario la Facebook Global Holdings Unlimited di cui non si conosce la nazionalita’.- Nel triennio 2013-15 le imposte pagate complessivamente da Google e Facebook in Europa non superano il 3 per cento dell’ammontare complessivo riportato nei loro bilanci consolidati.

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