Imprese e grandi immobili, continua lo shopping degli imprenditori stranieri

Imprese e grandi immobili, continua lo shopping degli imprenditori stranieri
11 gennaio 2016

di Laura Della Pasqua

L’interesse dei giapponesi per lo storico marchio della Peroni, peraltro passata già dal 2003 al gruppo sudafricano SABMiller, è solo l’ultima operazione di uno shopping che si è intensificato con la crisi economica quando imprese più o meno grandi sono diventate bocconi prelibati per fondi sovrani e gruppi imprenditoriali stranieri dotati di una importante liquidità. Non solo tedeschi, francesi, giapponesi e cinesi. È notizia di un paio di giorni fa l’acquisizione da parte del fondo sovrano dell’Azerbajian di palazzo Turati, sede della Camera di Commercio di Milano. Il fondo Sofaz ha sborsato 97 milioni di euro. Si tratta della terza operazione di fondi sovrani a Milano in pochissimo tempo. La prima, quando l’Abu Dhabi Investment Authority ha acquistato l’edificio Inps in via Melchiorre Gioia. La seconda, quando la Qatar Investment Authority ha rilevato un immobile in piazza San Fedele da Bnp Paribas (che si trasferirà in Diamond Tower a Porta Nuova). Dopo le imprese, il settore immobiliare fa gola agli stranieri. Il prezzo più alto, 345 milioni, è stato quello pagato dal fondo cinese Fosun: l’ex sede di Unicredit in Piazza Cordusio, ora destinata a una lunga ristrutturazione. Sempre a Milano, una delle sedi preferite da chi acquista immobili destinati al corporateo comunque a uso non residenziale, c’è stata l’acquisizione da parte dell’americana Marathon Am di un centro commerciale per 120 milioni. Il fondo Cerberus ha comprato per 44 milioni uffici in zona Piazza Affari. Blackstone, uno dei più grandi fondi del mondo, e da alcuni mesi uno dei più attivi in Italia, ha messo le mani su un blocco di uffici in Via Borromei. E poi ci sono i fondi Hines, Cordea Savillis, Artic, Tristan. Ma anche Ubs, Morgan Stanley, Goldman Sachs.

Tutti fanno a gara, in questo momento, per mettere le mani su immobili «trophy», trofeo, ovvero pezzi prestigiosi nelle aree centrali soprattutto di Milano ma anche di Roma. Nella capitale, ad esempio, sono molto richiesti alberghi importanti e redditizi come ad esempio il Grand Hotel Palace in Via Veneto, ceduto da Boscolo alla fine dello scorso anno per 44 milioni a Millennium & Copthorne. La lista è lunga e sarebbe più lunga ancora se solo fossero disponibili più immobili di questo tipo: centrali, soprattutto nelle grandi città, con caratteristiche pregiate, uffici, centri commerciali o alberghi. Secondo Gabetti gli investimenti nel 2015 hanno superato i 6 miliardi, con un incremento del 20% rispetto all’anno precedente. La cosa strana di questo boom immobiliare riservato ai grandi investitori, ovvero ai big player, è la mancanza quasi assoluta di italiani fra i compratori. La situazione è particolarmente favorevole per chi vuole fare affari; le piazze di Londra e Parigi o della Spagna sono già state sfruttate, mentre in Italia i prezzi non sono mai stati così bassi. Gli investimenti si concentrano praticamente su tre città: secondo la ricerca di Gabetti, il 55 per cento di tutte transazioni corporate avvengono a Milano. A Roma tocca il 15, a Bologna il 5. Quanto alle acquisizioni di imprese oltre all’operazione Etihad-Alitalia, va ricordato L’accordo raggiunto da ChemChina per l’acquisto della fabbrica di pneumatici Pirelli al prezzo di 7 miliardi di euro e l’acquisto del 45% di Italcementi, controllata dalla famiglia Pesenti, da parte del gruppo tedesco HeidelbergCement, in cambio di 1,7 miliardi.

Gli stranieri sono entrati in settori chiave dell’economia. Ansaldo Sts e AnsaldoBreda hanno ammainato il tricolore per issare bandiera giapponese di Hitachi. I francesi di Vivendi hanno in pugno la Telecom. Batte bandiera francese anche Edison (Edf) mentre il gruppo State Grid Corporation of China controlla il 35% del capitale di Cdp Reti, la società che detiene una partecipazione del 30% del capitale di Snam e del 29,851% del capitale di Terna. Il 40% di Ansaldo Energia è posseduto da Shanghai Electric. Nel settore alimentare, Nestlè e Unilever hanno fatto man bassa dei principali marchi della gastronomia italiana. Ultimo in ordine di tempo passato nelle mani del colosso americano Unilever, è il gelato Grom, ma prima era toccato all’Algida. Secondo l’ultimo rapporto di Unimpresa relativo al 2015, oltre metà del made in Italy quotato a Piazza Affari, è in mano agli stranieri. E per questi è stato un grande affare dal momento che la capitalizzazione di Borsa delle imprese del nostro Paese è cresciuta in un anno di 36 miliardi arrivando a 545 miliardi complessivi. Di questa cifra, 278,7 miliardi sono in mano straniera (52 miliardi in più rispetto allo scorso anno). Il 43% di tutte le imprese (anche le non quotate) è invece controllato dalle famiglie, con partecipazioni pari a 891,2 miliardi, in diminuzione di 28,4 miliardi (-3,1%) rispetto ai 919,7 miliardi di giugno 2014; anche in questo caso è forte la presenza degli stranieri, passati dal 22 al 25% con un aumento delle quote di 80 miliardi (+17,9%) da 447,09 miliardi a 527,1 miliardi.

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