La nuova guerra commerciale: Trump minaccia dazi del 200% sui magneti cinesi mentre Xi rafforza l’asse con Mosca

l presidente americano lancia la sfida più dura a Pechino dall’inizio del mandato, minacciando tariffe record che potrebbero far crollare l’intero commercio bilaterale. Una escalation che rischia di innescare una nuova guerra fredda economica mentre Xi Jinping consolida l’alleanza anti-occidentale con Putin.

Il presidente della Cina, Xi Jinping e il presidente Usa, Donald Trump

Il presidente della Cina, Xi Jinping e il presidente Usa, Donald Trump

La Casa Bianca ha alzato il tiro. Con un linguaggio che non ammette ambiguità, Donald Trump ha lanciato alla Cina l’ultimatum più duro dall’inizio del suo mandato: fornire agli Stati Uniti i magneti alle terre rare o affrontare dazi punitivi del 200%.

Una mossa che trasforma le materie prime strategiche in armi geopolitiche e riaccende le tensioni commerciali tra le due superpotenze. “Devono darci i magneti”, ha dichiarato il presidente americano durante l’incontro con il leader sudcoreano Lee Jae-myung, scandendo ogni parola con la determinazione di chi sa di giocare una partita decisiva.

La minaccia è concreta quanto devastante: tariffe che potrebbero azzerare gli scambi bilaterali da 760 miliardi di dollari annui. La posta in gioco è altissima. I magneti alle terre rare sono il cuore pulsante della rivoluzione tecnologica: dai motori elettrici ai sistemi di difesa, dai telefoni cellulari alle turbine eoliche.

Senza questi materiali, l’economia americana si ferma. E la Cina lo sa bene, controllando oltre il 90% della produzione mondiale di questi elementi critici.

La contraddizione strategica di Washington

Eppure, nemmeno Trump ignora la complessità dell’equazione. Con una rara ammissione di realismo, il presidente ha riconosciuto che dazi del 200% equivalgono a una dichiarazione di guerra commerciale: “Non avremmo più alcun commercio con la Cina”. Una prospettiva che farebbe tremare non solo Wall Street, ma l’intera economia globale.

La contraddizione emerge chiaramente nel confronto con le mosse precedenti dell’amministrazione. Solo all’inizio del mese, Trump aveva concesso a Pechino altri 90 giorni di tregua sui dazi, in un gesto distensivo che oggi appare come il preludio a questa escalation. Un cambio di rotta che rivela quanto sia fluida la strategia americana nei confronti del gigante asiatico.

Ma c’è un elemento di continuità nella posizione trumpiana: gli studenti cinesi. “Li accoglieremo, è molto importante”, ha ribadito il presidente, riferendosi ai 600.000 giovani che ogni anno attraversano l’oceano per formarsi nelle università americane. Una scelta che conferma come Washington distingua tra competizione economica e collaborazione accademica, consapevole che il soft power passa anche dalle aule universitarie.

Xi Jinping risponde con l’asse russo

Dall’altra parte del Pacifico, la risposta di Pechino arriva per vie traverse ma con messaggi chiari. Ricevendo il presidente della Duma russa Vyacheslav Volodin, Xi Jinping ha rilanciato la partnership strategica con Mosca, parlando di un “ordine internazionale più giusto e razionale” da costruire insieme alla Russia.

Le parole del leader cinese suonano come una replica diretta alle pressioni americane. Invocare un multilateralismo “autentico” significa contestare l’unilateralismo di Washington, mentre rafforzare i legami con Mosca equivale a costruire un’alternativa all’egemonia occidentale. Non è un caso che Xi abbia scelto proprio questo momento per ricordare i “sacrifici enormi” di Cina e Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale, evocando una memoria storica condivisa contro il militarismo e l’aggressione.

Il paradosso della diplomazia trumpiana

Paradossalmente, mentre minaccia Pechino con dazi record, Trump conferma la sua intenzione di visitare la Cina “probabilmente quest’anno o subito dopo”. Un annuncio che rivela la complessità della relazione sino-americana, fatta di confronto e dialogo, di minacce e aperture. “Ho parlato abbastanza recentemente con Xi Jinping”, ha rivelato il presidente, confermando che i canali diplomatici rimangono aperti anche nel momento di massima tensione.

Questa oscillazione tra il pugno di ferro e la mano tesa riflette una realtà incontrovertibile: Stati Uniti e Cina sono condannati a convivere, nonostante le rivalità crescenti. L’interdipendenza economica è troppo profonda per permettere una rottura completa, ma la competizione strategica è troppo intensa per consentire un ritorno al passato.

Le conseguenze per l’economia globale

L’ultimatum di Trump sui magneti alle terre rare non riguarda solo i rapporti bilaterali sino-americani. In gioco c’è il futuro della transizione energetica mondiale, dato che questi materiali sono essenziali per le tecnologie verdi. Un blocco delle forniture cinesi costringerebbe gli Stati Uniti a riorganizzare completamente le proprie catene di approvvigionamento, con costi e tempi che potrebbero rallentare la corsa alle rinnovabili.

Le aziende americane osservano con preoccupazione questa escalation. Giganti tecnologici come Apple, Tesla e General Electric dipendono criticamente dalle terre rare cinesi per i loro prodotti. Dazi del 200% significherebbero aumenti di prezzo inevitabili per i consumatori americani, proprio mentre l’inflazione resta una priorità politica per l’amministrazione Trump.

La sfida del decoupling selettivo

Washington sta sperimentando un “decoupling selettivo” dalla Cina: rottura nei settori strategici, continuità in quelli meno sensibili. Una strategia complessa che richiede precisione chirurgica per evitare danni collaterali all’economia americana. La decisione di mantenere aperti i flussi accademici con 600.000 studenti cinesi conferma questa logica: competizione tecnologica sì, isolamento culturale no. Ma la Cina non resta a guardare. L’accelerazione dell’asse con la Russia, annunciata proprio mentre Trump minacciava dazi record, dimostra che Pechino ha alternative strategiche.

 
Un mondo multipolare dove Cina e Russia dettano le regole in vaste aree del pianeta rappresenta lo scenario che Washington vuole evitare a tutti i costi. Il braccio di ferro sui magneti alle terre rare diventa così molto più di una disputa commerciale: è la metafora di un nuovo ordine mondiale in costruzione, dove ogni mossa economica ha conseguenze geopolitiche immediate. Trump ha lanciato il guanto di sfida, Xi ha raccolto l’invito rafforzando l’alleanza con Putin. La partita è appena iniziata, ma le sue ripercussioni si sentiranno ben oltre i confini di Washington e Pechino.