Chivu lancia l’ultimatum alle star: “Nessuno è al sicuro. Qui vige la legge della meritocrazia”

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Cristian Chivu

C’è una parola che risuona più delle altre nel nuovo corso interista guidato da Cristian Chivu. Una parola che detta legge, seleziona, motiva e, soprattutto, non ammette repliche: meritocrazia.

La gerarchia si scrive in allenamento

Alla vigilia del match contro l’Udinese, il tecnico nerazzurro disegna i contorni di una squadra in cui il talento non è un titolo di rendita, ma un privilegio che si conquista ogni giorno in allenamento. Un messaggio chiaro e potente, l’unica strada percorribile per navigare un autunno fitto di impegni tra campionato e Champions League.

Nessun nome è inciso sul marmo dei titolari. Nemmeno quello di Hakan Calhanoglu, pur definito “un giocatore importante” per la sua mentalità e per la voglia di “lasciarsi alle spalle la passata stagione”. La fiducia è totale, ma nulla è dato per scontato.

È questo il primo, fondamentale principio che Chivu ha impresso nel DNA della squadra. Il concetto di turnover non è un mero esercizio di rotazione, ma un meccanismo preciso che si inceppa se non alimentato dalla competizione interna.

“La meritocrazia è il mio primo principio e funziona sempre così. Bisogna che i giocatori si preparino sempre al meglio”, afferma il coach.

Una visione che trasforma ogni sessione di allenamento in un provino a porte chiuse, dove anche un giovane come Pio Esposito, “con i piedi per terra e l’umiltà giusta”, può ambire a scrivere la propria storia.

Strategia e versatilità: le armi per una stagione infinita

La densità del calendario impone soluzioni tattiche flessibili e Chivu non si sottrae. Apre alla possibilità di schierare tre attaccanti, “in base alle necessità”, in un ventaglio di opzioni che arricchisce il potenziale offensivo dell’Inter.

La stessa versatilità è richiesta ai singoli. Come nel caso di Davide Frattesi, descritto come “una mezzala di inserimento” ma perfettamente adattabile al ruolo di trequartista o addirittura in grado di abbassarsi a protezione di una mediana a due per garantire “la densità giusta”.

Uno schema di gioco che, quindi, diventa fluido e si modella sulle caratteristiche degli uomini a disposizione, i quali a loro volta devono essere pronti a interpretare più posizioni.

La trappola Udinese e l’ossessione per il presente

In questo clima di fervore progettuale, però, Chivu frena ogni tentazione di guardare al futuro. La Champions League può attendere. L’unica ossessione è l’Udinese, avversario subdolo e “strutturato”, dotato di un centrocampo fisico e di caratteristiche tecniche che lo rendono “difficile da affrontare”.

L’avvertimento per la sua squadra è triplice: non sbagliare in mentalità, in atteggiamento e, soprattutto, in qualità. Perché la meritocrazia, in fin dei conti, si misura anche e soprattutto in gara.

“Non posso pensare troppo in avanti, c’è una partita importante contro l’Udinese e non vorrei guardare troppo in avanti. Preferisco pensare solo all’Udinese e non guardare troppo in là”. Cristian Chivu sta costruendo più di una squadra. Sta plasmando un ecosistema basato su un patto non scritto: niente è dovuto, tutto si merita. In un calcio moderno dove le tentazioni dello star system sono sempre in agguato, la sua è una filosofia quasi rivoluzionaria nella sua semplicità.

Un metodo che non promette certezze, ma solo opportunità. La domanda che resta sospesa è se questa pressione competitiva costante si rivelerà il carburante perfetto per una stagione da protagonista o un fuoco che rischia di consumare troppo in fretta le sue stesse energie.

La risposta inizia a scriversi domani, contro l’Udinese. Un esame, il primo di una lunga serie, in cui l’unico biglietto da visita accettato è quello sporco di fango e sudore.