Shi Yang Shi porta in scena ad Palermo il suo Arle-Chino, maschera migrante tra Cina e Italia

ArleChino ph@Ilaria Costanzo

ArleChino ph@Ilaria Costanzo

Shi Yang Shi, attore cinese cresciuto in Italia, debutta a Palermo con “Arle-Chino” mercoledì 19 novembre. Lo spettacolo, ispirato alla sua vita di immigrato e traduttore, esplora l’identità sospesa tra due culture attraverso la rilettura della maschera goldoniana.

Il Teatro Biondo di Palermo ospita da stasera, 19 novembre, il debutto nazionale di “Arle-Chino – Traduttore-traditore di due padroni”. Protagonista in scena alla Sala Strehler è Shi Yang Shi, coautore del testo con Cristina Pezzoli. La regia è affidata ad Andrea Lisco, che riprende il progetto dopo la prima edizione. Lo spettacolo sovverte il classico goldoniano: Arlecchino non è più servitore ma “traduttore” e, per gioco di parole, “traditore”. La trama ripercorre la vera storia di Shi, nato a Jinan, in Cina, e trasferitosi in Italia con la madre all’inizio degli anni Novanta. Un percorso di vita segnato da lavori umili, dagli studi alla Bocconi mai conclusi e infine dalla professione di interprete per alte cariche istituzionali e artistiche, prima della svolta attoriale.

Una formazione tra lavoretti e teatro

La sua biografia è un ritratto di resilienza e integrazione. Shi, dopo aver fatto il lavapiatti e il venditore ambulante di rimedi tradizionali sulle spiagge, ha frequentato la scuola di teatro Paolo Grassi di Milano. Qui l’incontro fondamentale con Ferruccio Soleri, lo storico Arlecchino di Strehler, che ha acceso la sua passione per la commedia dell’arte. La sua identità, come per molti figli di immigrati, è un ibrido: conosce poco della storia cinese e altrettanto di quella italiana. “Arle-Chino” nasce proprio dall’elaborazione di un progetto sociale condotto a Prato, città con la più alta densità di cittadini cinesi in Italia, dove l’attore ha vissuto a lungo. Scene e costumi sono di Rosanna Monti.

Un ponte contro i fondamentalismi culturali

L’opera, nelle intenzioni degli autori, vuole essere un ponte simbolico tra culture. Utilizza l’ironia per smontare stereotipi e cercare un terreno comune, contrastando quelle che nel testo si definiscono “sterili chiusure fondamentaliste”. La figura del “traditore” non ha qui accezione negativa, ma indica la non fedeltà a una sola patria, la capacità di sintetizzare appartenenze multiple. Il lavoro di Rosa Masciopinto come clown coach arricchisce la performance di physicalità. Le repliche dello spettacolo, prodotto in un circuito di teatri di innovazione, sono in programma fino al 23 novembre, promuovendo un dialogo sulle seconde generazioni e le nuove italianità.