Con 25mila euro La Russa jr salda il conto del revenge porn. Condannato l’amico che diffuse il video. La vittima: “Ricorrerò, la somma è irrisoria”

La Gup: “Offerta congrua”. Condannato l’amico del figlio del presidente del Senato che diffuse il video.

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Leonardo Apache La Russa

Il conto per quella notte di maggio a Milano si è chiuso con un assegno da venticinquemila euro. La giudice monocratica Maria Beatrice Parati ha ritenuto “congrua” l’offerta risarcitoria proposta da Leonardo Apache La Russa, 24enne figlio del Presidente del Senato Ignazio La Russa, alla giovane donna che lo aveva denunciato per revenge porn.

Una decisione che di fatto estingue il reato a suo carico. L’accusa di violenza sessuale era già stata archiviata nei mesi scorsi. Condanna, invece, per l’amico deejay Tommaso Gilardoni: un anno di reclusione (con pena sospesa) per aver inoltrato il video a un terzo. Un verdetto che non placa le parti. La giovane, tramite il legale Stefano Benvenuto, annuncia ricorso sul risarcimento, giudicato “irrisorio”. La difesa di La Russa jr plaude a una sentenza che “riconosce la sua narrazione”.

La notte in discoteca e i video scambiati

La vicenda affonda le radici nella notte tra il 18 e il 19 maggio 2023. Dopo una serata all’Aphophis Club di Milano, il giovane La Russa e la ragazza si ritrovano nella casa di famiglia. Qui, secondo l’accertato quadro processuale, viene realizzato un video a contenuto sessualmente esplicito. Quel filmato, come stabilito in udienza, viene inviato da Leonardo La Russa all’amico Tommaso Gilardoni via WhatsApp.

È quest’ultimo, successivamente, a inoltrarlo a un altro conoscente, estraneo ai fatti, commettendo il reato di diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite (revenge porn). Sulla base di queste condotte, la Procura – rappresentata dalle pm Rosaria Stagnario e Letizia Mannella – aveva chiesto il rinvio a giudizio per entrambi. La richiesta di giudizio abbreviato per Gilardoni ha portato alla condanna odierna.

Il peso della lettera di dispiacere

Nella decisione della giudice Parati ha giocato un ruolo significativo una lettera, depositata dagli avvocati difensori Vinicio Nardo e Adriano Bazzoni, in cui Leonardo La Russa esprimeva dispiacere per quanto accaduto e si dichiarava disponibile a un incontro con la ragazza per una “rivisitazione dei fatti”. La stessa difesa aveva proposto un percorso di giustizia riparativa, opzione che il gup non ha ritenuto necessaria.

Elementi che, insieme all’offerta economica, hanno convinto il giudice a dichiarare estinto il reato per il figlio del Presidente del Senato, valutando la somma come adeguata. Una conclusione che stride con la posizione della vittima, la quale aveva fin da subito fatto sapere di non voler accettare quel denaro, ritenendolo inadeguato al danno subito.

L’amaro commento della vittima

“Sono contenta che sia stato riconosciuto il reato, ma impugnerò la congruità del risarcimento perché 25mila euro sono troppo pochi”. Con queste parole, affidate all’avvocato Benvenuto, la giovane reagisce alla sentenza. Il legale attacca frontalmente la quantificazione: “L’Osservatorio civile fissa per la diffamazione a mezzo stampa anche importi superiori a 50mila euro.

Come fa a essere satisfattiva una somma di 25.000 che dovrebbe includere danni morali, esistenziali, relazionali e spese?”. Annuncia quindi battaglia: la ragazza “non toccherà quella somma e faremo appello”. In parallelo, chiederà alla Procura di riaprire un fronte sull’inchiesta archiviata per violenza sessuale, in particolare su un “bacio rubato” emerso dagli atti. Una richiesta che promette di tenere viva l’attenzione sul caso.

La sofferenza sociale e la replica a mezzo social

Dall’altra parte, la sentenza è stata vissuta come una liberazione. In una lunga nota social, Leonardo Apache La Russa ha descritto i due anni di “sofferenze e malevoli interpretazioni”. “Nonostante abbia cercato di nasconderlo, in questi due anni ho sofferto di depressione, arrivando anche a pensare al suicidio”, scrive, parlando di “ingiusto accanimento mediatico e sui social”.

Pur scegliendo di non entrare nei dettagli di quella notte “per rispetto”, sostiene la versione della consensualità e l’assenza di volontà offensiva, ricordando come “ci sono state prove effettive, testimoni e pubblici ministeri” a scagionarlo dall’accusa di violenza. Un sfogo che mescola dolore privato e la percezione di essere stato giudicato per il ruolo del padre più che per i fatti. La sua difesa, con una nota ufficiale, ha parlato di “storia giovanile” e di conclusione di un “percorso di giustizia sostanziale”.

La condanna dell’amico e le strategie legali

Il quadro giudiziario resta a due velocità. Mentre per La Russa jr il procedimento si estingue, per Tommaso Gilardoni è scattata la condanna a un anno con sospensione. All’amico è stato riconosciuto un obbligo di risarcimento alla parte civile di 7.000 euro più le spese legali, cifra ben inferiore ai 25.000 euro dell’offerta dichiarata congrua per La Russa. Questo divario alimenta le perplessità della difesa della giovane.

Ora, la strada si sposta sul grado d’appello per la quantificazione del danno. Una battaglia civile che si annuncia tecnica e simbolica insieme, mentre la vicenda continua a intersecare temi delicati: il peso dei cognomi, la giustizia penale come misurazione del dolore, e l’impatto distruttivo della gogna digitale, invocata da entrambe le parti come agonia subita.