A Taormina la Carmen di Castiglione, una scarna e povera prova di teatro

A Taormina la Carmen di Castiglione, una scarna e povera prova di teatro
18 luglio 2015

di Laura Donato

Gioca con cubi e parallelepipedi per costruire la sua Siviglia, Enrico Castiglione, che a Taormina, per il Taormina Opera Festival, nato dalla collaborazione tra Taormina Arte e il Festival Euro Mediterraneo, presenta la sua Carmen. Una Carmen che ha perso i colori della Spagna descritta da Prosper Merimèe e che Bizet aveva sapientemente saputo trasporre nella brillantezza della sua composizione operistica. Una Carmen che ha perso la sua innata sensualità, sfrontatezza, vivacità, limitata nel confrontarsi con uno sparuto stuolo di soldatucoli di canario e verde vestiti, paesani e contadine strappate più alla terra sicula che non a quella d’Andalusia. Dopo i fasti scenografici e innovativi giocati sulla magia delle luci, Castiglione torna ad una scarna e povera prova di teatro di tradizione cui nulla aggiunge, tuttalpiù toglie, a quanto sinora visto nei vari teatri italiani. Un peccato che la verve creativa cui il regista e scenografo siciliano aveva abituato il pubblico del Teatro Antico si sia così esaurita, o, comunque, abbia deviato verso una “tradizione” opaca e poco luminosa. Così come tradizionali e opachi sono i costumi di Sonia Cammarata.

La vicenda della fiera Carmen, simbolo dell’autonomia femminile, della libertà di vivere secondo le proprie leggi, non certo quelle volute dagli uomini, si svolge lentamente scontrandosi con i vari blocchi, cubi e parallelepipedi, tra una alzata di gonna, un roteare degli occhi, un accennato, quanto “interruptus”, amplesso con il Don Josè di turno. La bionda Elena Maximova, mezzosoprano, solista del Marinsky di San Pietroburgo, scende dalla macchina anni ’50, di Calixto Bieito, regista della Carmen andata in scena a Palermo di cui è stata protagonista – per sedurre su uno scomodo parallelepipedo il suo Josè, che alla fine si stacca da lei più per il dolore alla schiena che per il suono della Ritirata. La voce della Maximova, che al chiuso del Massimo mostrava un certo spessore, una musicalità e qualità espressive, non adatte al ruolo, ma sicuramente di valore, al Teatro Antico di Taormina, fluttua disperdendosi nelle volute aperte della cavea. Lo stesso accade al giovane tenore cileno, Giancarlo Monsalve, nei panni di Don Josè che dovrebbe seriamente ripensare il suo repertorio scegliendo ruoli meno drammatici e, forse, più lirici.

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Stessa situazione per la Micaela di Joanna Parisi e l’Escamillo di Michael Bachtadze, come anche per il Coro Lirico Siciliano, decisamente sotto numero per arricchire vocalmente la scena, in particolare nella scena della taverna del secondo atto e della montagna nel terzo. Scene del resto tutt’altro che ravvivate dalle essenziali coreografie di Sarah Lanza. Il lavoro dal podio di Myron Michailidis, alla guida dell’Orchestra del Festival, pur supportando la resa canora degli interpreti, perde il senso ritmico ed espressivo della partitura, i suoi colori drammatici, lirici, vivaci, contribuendo così all’appiattimento della messa in scena. Il quintetto del secondo atto, fiore all’occhiello degli interpreti secondari quali Dancairo, Frasquita, Mercedes e Remendario – al secolo Federico Cavarzan, Sarah Baratta, Irene Molinari e Giuseppe Di Stefano – , passa inosservato privato della brillantezza e dell’ironia che lo contraddistingue. Pubblico tuttavia in visibilio, sin dalla metà dell’Ouverture, e numeroso. Carmen,  tornerà al Teatro Antico di Taormina il 7, 10 e 13 Agosto.

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