Una rivoluzione silenziosa sta attraversando le sale operative delle banche italiane, gli uffici delle assicurazioni e le torri di vetro della finanza milanese. Non si tratta di un crollo o di una fusione aziendale, ma di qualcosa di più sottile e pervasivo: l’intelligenza artificiale sta riscrivendo il DNA di un intero settore.
I numeri parlano chiaro e non ammettono repliche: 400mila lavoratori, oltre due terzi dell’intera forza lavoro finanziaria italiana, si trovano oggi esposti agli effetti dell’AI. Una massa critica che rappresenta il 66% degli occupati del comparto, secondo l’indagine “L’era dell’intelligenza artificiale nel settore finanziario: sfide e opportunità per le professioni” condotta da Randstad Research.
Due facce della stessa medaglia
L’impatto dell’intelligenza artificiale nel settore finanziario si manifesta su due fronti distinti. Il margine estensivo comporta la sparizione di alcuni lavori tradizionali, compensata però dalla nascita di figure professionali inedite: data scientist, specialisti in cybersecurity, esperti di algoritmi. Il margine intensivo, invece, trasforma dall’interno le attività quotidiane dei lavoratori attraverso nuovi strumenti tecnologici.
Contrariamente a settori come la manifattura, dove l’automazione spazza via intere categorie di lavoratori standardizzati, nella finanza italiana prevale il secondo fenomeno. “Quasi tutte le professioni evolveranno”, emerge dall’analisi, “richiedendo nuove competenze che spaziano dall’alfabetizzazione digitale alle capacità tecniche avanzate”.
Il paradosso umano nell’era delle macchine
Qui emerge uno dei paradossi più affascinanti della trasformazione in corso: mentre le macchine si impadroniscono dei compiti routinari, cresce paradossalmente la richiesta di capacità squisitamente umane. Creatività, pensiero critico, intelligenza emotiva diventano le competenze più ricercate, quelle che nessun algoritmo può replicare.
La mappa dell’impatto rivela scenari differenziati. L’automazione classica colpisce duramente il 74,8% dei professionisti tecnici – segretari amministrativi, contabili, tecnici bancari – coinvolgendo circa 218mila persone. La percentuale schizza al 96,1% per le professioni esecutive: addetti agli sportelli, intermediari finanziari, archivisti.
All’opposto, dirigenti e specialisti in contabilità sembrano relativamente al riparo dall’automazione tradizionale, ma non dall’intelligenza artificiale. Per i dirigenti l’esposizione all’AI sarà “molto alta”, così come per il 76,5% degli specialisti in gestione aziendale e il 99,8% dei professionisti tecnici.
Machine learning: l’élite della trasformazione
Il machine learning disegna una geografia ancora più selettiva. Solo il 30,5% delle professioni tecniche (88mila persone) e il 54% di quelle da ufficio (82mila persone) subiranno il suo influsso diretto. Dirigenti, specialisti senior e addetti alle pratiche restano sostanzialmente immuni.
Verso un nuovo ecosistema professionale
Quello che emerge non è il ritratto di un settore in via di estinzione, ma di un comparto in metamorfosi accelerata. Le banche del futuro non saranno necessariamente luoghi deserti popolati da robot, ma ambienti dove l’intelligenza artificiale amplifica le capacità umane anziché sostituirle.
La sfida ora è duplice: da un lato, preparare centinaia di migliaia di lavoratori a questa transizione attraverso programmi di riqualificazione e aggiornamento; dall’altro, ridefinire i modelli organizzativi per integrare efficacemente uomo e macchina.
La partita è appena iniziata. E il suo esito determinerà non solo il futuro della finanza italiana, ma anche quello di quasi mezzo milione di professionisti chiamati a reinventare il proprio ruolo nell’economia digitale.