Anniversario dello Statuto siciliano, un’Autonomia lunga 70 anni. Sulla carta

Anniversario dello Statuto siciliano, un’Autonomia lunga 70 anni. Sulla carta
15 maggio 2016

di Rosario Mancino

statuto-originale1Lo Statuto siciliano compie 70 anni. La memoria storica di un evento così importante appare, tuttavia, oggi fortemente appannata mentre la specialità dell’Isola è messa ormai in discussione da decenni di malgoverno e dalle continue interferenze del potere centrale, quasi a lasciare intendere la inutilità delle specifiche competenze statutarie. Eppure, in nessuna regione a statuto speciale, come in Sicilia, la battaglia per la conquista dell’Autonomia fu il risultato di una lunga e dura lotta politica, sostenuta dal popolo siciliano. Rievocarne quindi, a 70 anni di distanza, le pagine salienti, e soprattutto trasmetterle alle giovani generazioni, è atto di estrema importanza civile, perché è nel passato che è contenuto, in nuce, il nostro futuro. Fu nel lontano 15 maggio 1946 che un decreto luogotenenziale decretava il valore di legge dello Statuto. Non era stato un percorso agevole quello che portò alla sua approvazione, visto che la Magna Charta dell’Autonomia siciliana rappresentava il delicato punto d’incontro e di sintesi di due volontà. Quella inderogabile dell’unità e dell’indivisibilità della Nazione e quella delle aspirazioni autonomistiche del popolo siciliano. Da ciò la natura pattizia dello Statuto, una volta che lo Stato italiano – emerso dalle macerie del dopoguerra – venne indotto a concedere forme e condizioni particolari di autonomia politica e giuridica alla Sicilia, per spegnere le velleità separatiste che, all’indomani dello sbarco alleato, avevano infiammato l’Isola, lasciando paventare, in alcuni momenti, finanche la sua totale perdita da parte dell’Italia.


MOVIMENTO INDIPENDENTISTA
La pressione di un movimento indipendentista straripante, se indubbiamente aiutò la nascita della Regione a statuto speciale, tuttavia, ridusse i margini d’azione dei partiti unitari, la cui linea apparve, non poche volte, ondivaga. Dettata, sì, dalla primaria esigenza di ridefinire l’ordinamento della Sicilia in senso autonomista ma mutandola, parimenti, con la evoluzione e la portata della battaglia indipendentista nell’Isola. Con il risultato che la elaborazione dello Statuto venne concepita entro i confini regionali, mancando di quell’ampio respiro che soltanto l’evolversi del quadro istituzionale, reso possibile dalla sconfitta del fascismo, avrebbe potuto concorrere a dare. Ciò che comportò l’esigenza di un successivo coordinamento con la Costituzione italiana, foriero di problematiche ancora aperte nella fase attuativa dello Statuto, ancorché quest’ultimo fosse in linea con la articolazione decentrata per regioni prevista dalla nuova Costituzione della Repubblica italiana. Nondimeno, in quei frangenti, la impellente necessità di cavalcare l’autonomismo per ridurre definitivamente all’impotenza il movimento separatista nella scena politica siciliana, condussero il governo Badoglio, con regio decreto legge del 18 marzo 1944, alla costituzione  dell’Alto Commissario per la Sicilia e, il 15 novembre 1944, il governo Bonomi, con ancora mezzo Paese invaso dalle truppe nazifasciste, ad approvare la istituzione di una Consulta regionale siciliana di 24 membri (poi passati a 36), il cui precipuo compito, oltre che ad assistere l’Alto Commissario nell’esercizio delle sue funzioni, era quello di redigere un progetto di Statuto. Entrambi, gli istituti evidentemente rappresentavano la volontà del potere centrale di assecondare la strategia dei partiti unitari in Sicilia, al fine di sottrarre al movimento separatista il monopolio dell’Idea sicilianista.

Salvatore_Aldisio_1L’ALTO COMMISSARIO Tuttavia, le resistenze che, a Roma, attraversavano trasversalmente tutti gli schieramenti politici, concorsero a bloccare per mesi l’avvio di quel “grande esperimento d’autonomia regionale”, così come salutato dal decreto legislativo luogotenenziale (il n. 416 del 28 dicembre 1944) che istituiva la Consulta. Sicché dall’insediamento della stessa, avvenuto il 25 febbraio 1945, si giunse al 9 settembre dello stesso anno per poter finalmente insediare la Commissione incaricata di elaborare il nuovo Statuto, in seguito alle notizie, circa alcune mobilitazioni di popolo, giunte dalla Sicilia dopo la concessione per decreto legge, il 27 luglio 1945, dell’autonomia alla Valle d’Aosta. Soltanto, infatti, il 24 agosto il Consiglio dei ministri, sotto la presidenza di Ferruccio Parri e alla presenza dell’Alto Commissario Salvatore Aldisio (foto), autorizzerà l’affidamento dell’elaborazione dello Statuto alla Consulta, con i voti contrari di Parri, Nenni e La Malfa. La Commissione per lo Statuto, composta da 9 membri, iniziò i propri lavori il 15 settembre 1945 e venne presieduta dal professor Giovanni Salemi (tecnico ma di area democristiana) e composta da Pasquale Cortese (DC) in sostituzione di Giuseppe Alessi (DC), Giovanni Guarino – Amella (Partito del Lavoro), Mario Mineo (PSIUP),  Giuseppe Montalbano (PCI), Enrico La Loggia (PLI) in sostituzione di Carlo Orlando (PLI), Franco Restivo (DC) e Giuseppe Avarna di Gualtieri (Movimento per l’Indipendenza). La Commissione, nel suo lavoro, di elaborazione, ricalcò le tesi del costituzionalista, Gaspare Ambrosini, riportate nel suo libro Autonomia regionale e federale secondo il quale “nel sistema delle Regioni autonome, la Regione non costituisce soltanto un’entità amministrativa ma anche un’entità politica, assume cioè una propria individualità e una propria volontà che sta di fronte a quella dello Stato e che lo Stato non può sopprimere o violare fin quando dura la Costituzione”. La commissione si confrontò su quattro progetti di Statuto presentati dal professor Salemi, da Guarino – Amella, da Mineo e da Avarna di Gualtieri, quantunque l’elaborazione del testo statutario provvisorio segui la falsa riga del progetto Salemi, sponsorizzato dalla Dc e da Aldisio, pur allontanandosi dall’autonomismo di marca sturziana – ad eccezione degli articoli 14, lettera p, 15 e 16 dello Statuto – che concepiva i poteri locali, intermedi tra lo Stato e la Regione, come vero strumento di partecipazione politica e di cambiamento per lo sviluppo di nuove figure economiche e sociali.

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LO STATUTO Fu, però, soprattutto sul titolo V (Patrimonio e Finanza) dello Statuto, e precisamente sui futuri articoli dal 32 al 41, che si giocava la partita per la concreta realizzazione di una vera e propria autonomia. Al centro del dibattito vi fu la tesi cosiddetta rivendicativa o riparazionista proposta da La Loggia, che sarà sancita nell’art. 38 dello Statuto, secondo cui l’Autonomia rappresentava lo strumento attraverso il quale lo Stato avrebbe dovuto “risarcire” la Sicilia, per compensare il divario economico prodotto, nel corso dell’Unità d’Italia, tra l’Isola e le parti più ricche del Paese, con versamenti annuali “a titolo di solidarietà nazionale” da impiegare, attraverso un piano, per la realizzazione di opere pubbliche. Prevalse, come detto, la tesi laloggiana – che pur introducendo principi, come quello della solidarietà, in chiave non solo politica ma fortemente etica, o come quello di piano, quasi rivoluzionario per l’epoca – influì però negativamente nel trovare successivamente un punto di equilibrio con le ragioni di uno Stato che giudicava, non senza qualche speciosa strumentalizzazione, pericolosamente rivendicativi alcuni dettami dello Statuto. E le conseguenze di un simile atteggiamento si sono fatte sentire nei momenti più critici dell’esperienza autonomistica. Ma ritorniamo alla genesi dello Statuto che, dopo la stesura del testo provvisorio, venne inviato alla Consulta regionale, che lo prese in esame in seduta plenaria dal 19 al 23 dicembre 1945. Il serrato dibattito svoltovi fu la spia delle diffidenze e dei contrasti apertisi tra i partiti, tanto da mettere a rischio la stessa unità d’azione antifascista. Cartina di tornasole di ciò fu l’approvazione non all’unanimità, come invece furono votati tutti gli altri articoli del testo, dell’art. 42 (art. 39 del progetto della Commissione), per il quale lo Statuto doveva essere approvato con decreto legislativo (comma 1) per essere sottoposto quindi all’Assemblea Costituente (comma 2), a cui la Consulta aggiunse un terzo comma, che stabiliva che la modifica dello Statuto potesse avvenire, su proposta dell’Assemblea regionale e del Parlamento nazionale, con le medesime forme previste per la modifica della Costituzione.

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finocchiaro aprileCONSULTA NAZIONALE Dietro l’atteggiamento di ogni partito si celavano ovviamente interessi e strategie di diversa portata politica. Infatti, se da un lato, la Dc e le destre – che votarono a favore dell’articolo – agitavano lo slogan “autonomia e subito” per paura che la sinistra, una volta al potere, potesse cambiare i connotati moderati dello Statuto, quest’ultima, da parte sua, caldeggiava la possibilità di sottoporre lo Statuto alla Costituente, in cui sperava di potere disporre della maggioranza. Lo Statuto, una volta approvato dai consultori siciliani, fu all’attenzione, il 12 marzo 1946, di un Consiglio dei ministri piuttosto acceso, al termine del quale si decise di trasmettere lo stesso “opportunamente modificato al Viminale” (sede fino al 1961 della presidenza del Consiglio) per poi di seguito inviarlo alla Consulta nazionale. Questa era un’assemblea legislativa provvisoria, non elettiva, che istituita nell’aprile 1945 durò in carica fino alla elezione della Costituente, il 2 giugno 1946. Il 4 aprile il testo, senza tuttavia subire alcuna modifica, fu inviato alla Consulta nazionale, le cui commissioni Affari politici, Giustizia, Finanza e Tesoro si riunirono congiuntamente, il 13 aprile, nominando un’apposita commissione per lo studio dello Statuto. Ad essa vi parteciparono, tra gli altri, Gilardoni, (come presidente), La Malfa, Li Causi, Musotto, Morandi, Einaudi, Aldisio, Finocchiaro Aprile (foto, al centro), Berlinguer (padre di Enrico). La commissione delegò a relazionare il proprio presidente, una volta averne esaminato lo Statuto. E Gilardoni, riferì alla Commissione il 7 maggio, proponendo quale unica modifica al testo statutario l’abolizione dei commi 2 e 3 dell’art. 42, da sostituire con un nuovo comma 2, il quale recitava che lo Statuto “sarà sottoposto all’Assemblea Costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato”. In tal modo, si conferiva allo Statuto – approvato con il solo voto contrario di Einaudi – valore di testo costituzionale non emendabile – contrariamente, come abbiamo visto, a quanto proposto dai consultori siciliani – ma soltanto coordinabile con i principi che sarebbero stati posti in essere dall’ormai prossima Assemblea Costituente.

Alcide-De-GasperiREGIO DECRETO Intanto, in Sicilia, la situazione si era fatta incandescente. La promessa dell’Autonomia, non ancora mantenuta, scontava ormai il peso della propaganda separatista, che aveva la meglio a sbandierarla come “una grande turlupinatura” dei partiti e dell’Alto Commissario Aldisio, mentre una ristretta minoranza, sotto le insegne dell’EVIS, l’esercito separatista, e con l’appoggio di alcune bande armate, utilizzava il mitra, come arma di lotta politica. Tanto che era ormai consapevolezza dei più che da questa situazione maledettamente aggrovigliata si sarebbe potuti uscire solo se il potere centrale avesse dimostrato la volontà di conferire, senza troppi indugi, l’Autonomia alla Sicilia. Che, di conseguenza, appariva come una scelta dettata dalle esigenze del momento, rinviando al dopo gli eventuali, opportuni aggiornamenti. Scelta, peraltro obbligata, che non poteva tuttavia non influire assai gravemente sulla futura fase attuativa dello Statuto. Il 14 maggio, comunque, il consiglio dei ministri presieduto da Alcide De Gasperi (foto), convaliderà l’approvazione dello Statuto, così come approvato dalla commissione Gilardoni, con i soli voti contrari di Nenni (PSIUP), Cattani (PLI) e Gasparotto (Partito del Lavoro) e il giorno dopo, il 15 maggio, il Regio Decreto Luogotenenziale n. 455 farà della Magna Charta siciliana uno dei tasselli del futuro ordinamento costituzionale del nuovo Stato. Trascorsero, tuttavia, ben due anni – intermezzati dalle elezioni regionali del 20 aprile 1947, grazie a cui il Parlamento regionale, nel pieno delle sue funzioni, emanava già norme legislative che producevano effetti nell’ambito del territorio regionale – perché la Costituente dibattesse nel febbraio 1948, nel corso della sua ultima seduta, riguardo al coordinamento tra la Costituzione – promulgata dal capo dello Stato provvisorio De Nicola, il 27 dicembre 1947 – e lo Statuto, convertito in legge costituzionale il 26 febbraio 1948. Al centro dei lavori della speciale commissione preposta a tale compito vi fu la questione di che tipo di coordinamento avvalersi. Se, cioè, di tipo sostanziale o formale. Il primo aveva una funzione emendatrice, il secondo invece prendeva atto dell’esistenza delle due Carte Costituzionali, per coordinarle, tenendo conto delle rispettive peculiarità. Prevalse, infine, la tesi del coordinamento sostanziale. Con il rischio di travolgere le prerogative dello Statuto.

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giuseppe alessiLA CONTROVERSIA A conclusione di un dibattito duro, serrato e, a volte, ai limiti del galateo istituzionale venne approvata la mozione sostenuta dalla Dc, rispetto a quelle dei partiti di sinistra e del movimento indipendentista siciliano, nella quale si sosteneva che “non oltre due anni dall’entrata in vigore della presente legge, si potrà procedere a revisione anche con legge ordinaria della Repubblica udita l’Assemblea Regionale Siciliana”. La Dc nazionale quindi, nonostante detenesse il governo della Regione con Giuseppe Alessi (foto), auspicava che il parere dell’Assemblea non potesse costituire vincolo all’eventuale azione emendatrice dello Stato. La reazione del governo regionale non si fece, peraltro, attendere e il 10 marzo 1948 il presidente Alessi presentò ricorso all’Alta Corte (organo giurisdizionale previsto dallo Statuto, che giudicava sulla costituzionalità delle leggi regionali e di quelle dello Stato con efficacia nella Regione, e che con sentenza n. 38 del 10 marzo 1957 la Corte Costituzionale ne avocò a sé le competenze). Estensore del ricorso fu il professor Orlando Cascio (padre dell’attuale sindaco di Palermo) per il quale “fu riservato all’Assemblea nazionale il potere di deliberare sugli Statuti regionali speciali, non le fu riservato il diritto di regolamentare le future modifiche agli Statuti stessi…”. L’alta Corte dichiarò l’ammissione del ricorso presentatole: lo Statuto restava immutato, salvo che per future eventuali decisioni dell’Assemblea regionale. Fu questo un indubbio successo per la difesa delle guarentigie statutarie, tuttavia il mancato coordinamento tra le due Carte renderà spesso equivoco il rapporto con lo Stato, traducendosi in un continuo conflitto sul piano della concreta attuazione dei poteri e delle prerogative in capo alla Regione, di cui ancora oggi la Sicilia paga lo scotto. Ciascun evento storico, comunque, si cala in un proprio ineluttabile, particolare contesto. Ciò vale anche per lo Statuto: “un provvedimento – ha osservato lo storico Francesco Renda – anticipatore di volontà politiche e di eventi che, sul momento, non era possibile regolare in modo diverso dalla forma consultiva e propositiva, ma della cui legittimità e necessità non esisteva dubbio alcuno”.

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