Asse politica-lobbies danneggia Paese

30 giugno 2014

Il capitalismo di relazione ha creato danni al Paese. Il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, nella sua relazione annuale a Palazzo Madama, ha puntato il dito contro quell’intreccio tra i grandi potentati economici e il potere politico e amministrativo che rende la società chiusa, poco aperta alla concorrenza e “danneggia la parte vitale e competitiva dell’economia italiana”. Il “capitalismo di relazione”, è basato “sull’intreccio tra pochi grandi potentati economici, sulle loro relazioni con il potere politico e amministrativo, sulla ricerca delle “rendite di posizione”, ha spiegato il numero uno dell’Antitrust. Questa deriva del capitalismo “si basa sui privilegi, piuttosto che sui meriti, aggrava le diseguaglianze, rende la società – ha osservato Pitruzzella – chiusa, statica, poco aperta alla concorrenza e all’innovazione”.

Inoltre, secondo il presidente dell’Antitrust, “sacrifica l’aspirazione degli individui di poter migliorare la loro posizione sociale, esclusivamente in virtù dei loro meriti. Quindi pregiudica quella particolare forma di eguaglianza che è l’eguaglianza delle opportunità”. L’espansione della spesa pubblica, per alcune delle componenti, “improduttiva e inefficiente” è stata diretta a “soddisfare gli interessi particolaristici delle lobbies e dei cacciatori di rendite”, ha aggiunto Pitruzzella. “Anche per questa via – ha sottolineato il presidente dell’Antitrust – si è creato quell’enorme debito pubblico che costituisce un grande ostacolo alla crescita economica ed un fardello ingiustamente caricato sulle nuove generazioni”. Queste tendenze, secondo Pitruzzella, “in Paesi come l’Italia, hanno favorito l’espansione di una spesa pubblica, per alcune delle sue componenti, improduttiva e inefficiente, diretta a soddisfare gli interessi particolaristici delle lobbies e dei cacciatori di rendite”.

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Anche per questa via “si è creato quell’enorme debito pubblico che costituisce un grande ostacolo alla crescita economica ed un fardello ingiustamente caricato sulle nuove generazioni”, ha aggiunto. Tuttavia, per il numero uno dell’Autorità, “etichettare l’economia italiana, nel suo complesso, come esempio di ‘chrony capitalism’ sarebbe ingiusto per quella gran parte di imprese italiane che competono con successo sui mercati internazionali, che sono capaci di essere leader nell’innovazione, per le tante che hanno saputo superare la crisi e per quelle che hanno sofferto anche a causa di un ambiente giuridico-istituzionale poco amichevole”.

Oggi, però, “questo assetto dell’economia, i suoi rapporti con le istituzioni politiche e quelle amministrative sono sottoposti – ha detto – ad un significativo cambiamento”. Ad alimentare questo processo di cambiamento “concorrono forze ed esigenze diverse: l’imperativo di mettere in ordine i conti pubblici, rispettando i vincoli europei, l’esigenza di rafforzare la competitività dell’economia per rimettere in moto la crescita economica, il bisogno di rinnovare la legittimazione delle istituzioni pubbliche e dei soggetti economici a fronte dei gravissimi scandali che hanno fortemente minato la fiducia dell’opinione pubblica”. Si tratta, talora, di “vicende che coinvolgono profili penalistici – ha concluso – che devono essere accertati, nel rispetto del diritto individuale di difesa, dalla magistratura. (TMNews)

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