Fregata missilistica Antonio Marceglia, stretto di Bab al Mandab. È qui, a bordo dell’unità navale che dal febbraio 2024 presidia una delle rotte commerciali più strategiche al mondo, che Antonio Tajani ha scelto di materializzare il bilancio dell’anno della Farnesina. Una missione lampo a Gibuti che condensa il doppio binario su cui corre la politica estera italiana: difesa degli interessi economici e proiezione geopolitica. Non è un caso. È strategia pura.
I numeri parlano chiaro. Dallo stretto controllato dalla Marceglia transita il 14% del commercio mondiale, il 30% dei flussi di container. Destinazione: Mar Rosso, Canale di Suez, Mediterraneo. Quando i ribelli Houthi hanno cominciato a lanciare razzi e droni, le compagnie di navigazione hanno tremato. “Senza la vostra presenza avremmo avuto danni economici enormi”, ha scandito il ministro all’equipaggio.
“Moltissime navi mercantili sarebbero state costrette a circumnavigare l’Africa, con costi assicurativi schizzati alle stelle e rischi enormi per le vite umane e per i prodotti che l’Italia esporta verso Oriente, Estremo Oriente e Indo Pacifico”. Grazie alla missione europea Aspides sono transitati indenni 476 mercantili. “Avrebbe avuto un danno enorme anche il nostro sistema portuale”, ha rincarato Tajani.
Seconda tappa: la Bmis, base militare italiana operativa dal 2012 nel cuore del Corno d’Africa. Da qui partono le operazioni nazionali che coprono Golfo di Aden, Oceano Indiano, Somalia. Qui si addestra il personale locale. “Per noi è fondamentale la stabilità in questa parte del mondo”, ha detto Tajani ai cento militari interforze schierati. “L’Africa rappresenta per l’Italia una priorità assoluta. Priorità geopolitica. Priorità per bloccare i flussi migratori che non siamo in grado di controllare per colpa dei trafficanti di esseri umani. La nostra presenza nel continente africano da questa parte è strategica”.
Il messaggio è netto: il Mar Rosso e il Corno d’Africa non sono periferia. Sono il fronte dove si gioca la partita della sicurezza nazionale. Prevenzione dell’immigrazione irregolare, contrasto al terrorismo, tutela delle rotte commerciali. Tutto si tiene. Tutto converge qui, in questo lembo di terra stretto tra Etiopia, Eritrea e Somalia, affacciato su uno degli stretti più contesi del pianeta.
La missione non è stata solo militare. Tajani ha incontrato il ministro degli Esteri Abdokader Houssein Omar e il presidente della Repubblica Ismail Omar Guelleh. Sul tavolo: rafforzamento dei rapporti bilaterali, collaborazione sulla sicurezza, investimenti. “Dobbiamo far sì che il continente africano possa essere stabile”, ha spiegato il vicepremier. “E lo si può soltanto se facciamo un’azione economicamente utile attraverso il piano Mattei, un piano di investimenti per favorire la crescita dei paesi su cui facciamo riferimento”.
Il Gibuti non rientra formalmente nel Piano Mattei, ma Tajani ha assicurato al presidente Guelleh “un maggior impegno da parte nostra per rinforzare la nostra presenza in questo paese stabile e tranquillo, incastonato tra paesi molto difficili”. L’obiettivo: portare le imprese italiane a sviluppare il settore agricolo e valorizzare il porto di Gibuti. “Speriamo che sempre più navi possano fermarsi in questo porto”, ha concluso il ministro.
La missione a Gibuti arriva a ridosso di una svolta istituzionale. Dal primo gennaio 2026 la Farnesina diventerà “bicapite”, grazie a una riforma fortemente voluta da Tajani. Politica ed economia non saranno più compartimenti stagni ma due teste di un unico corpo diplomatico. La visita di oggi ne è l’anticipazione concreta. I dirigenti del Ministero che hanno accompagnato Tajani hanno sintetizzato le priorità per il 2026 in tre parole: pace, dialogo, crescita. Il Corno d’Africa è il banco di prova dove verificare se questa trinità può trasformarsi in realtà.